Come la caccia al cancro sta rovinando la nostra comprensione dei tumori.

Mauro Sartorio
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Un recente editoriale pubblicato nei primi giorni dell'anno su Annals of Internal Medicine sostiene che le campagne di controllo preventivo sul cancro possono distorcere le nostre conoscenze sulle cause stesse del cancro (fattori di rischio) e anche la nostra percezione di quanto i tumori siano diffusi.

Dall'abstract:
I fisici hanno capito da tempo che l'atto dell'osservazione può influenzare il fenomeno osservato. 
La misurazione della pressione dell'aria nel pneumatico di un'auto riduce la pressione stessa; la misurazione della tensione in un circuito altera la tensione. 
I medici farebbero bene a capire in che modo l'osservazione può influenzare l'apparente incidenza del cancro e, allo stesso modo, gli apparenti fattori di rischio per questa malattia. 
Che il numero di casi di cancro diagnosticati sia sensibile al grado di controllo è un fenomeno conosciuto per il cancro alla prostata. 
Considerando la notevole volatilità riportata nell'incidenza del cancro alla prostata negli ultimi 40 anni negli Stati Uniti, nessuna biologia tumorale conosciuta o processo cancerogeno può spiegare la sua rapida ascesa e il rapido declino. 
Invece, le differenze notevoli nell'incidenza sono il risultato della pratica medica: la crescita nell'uso della resezione transuretrale della prostata come terapia per l'iperplasia prostatica benigna; la promozione del test dell'antigene prostatico specifico - un "semplice esame del sangue" che è stato spesso offerto gratuitamente; un periodo di ridimensionamento quando i fornitori di cure primarie e gli urologi concordavano sul fatto che lo screening non aveva senso negli uomini con un'aspettativa di vita limitata; e, infine, la reazione alle raccomandazioni contro lo screening.

Gli autori dell'editoriale parlano in particolare di quei tumori che sono "controllo-dipendenti", comunemente quelli considerati "precancerosi", a lenta crescita, quelli cioè che in genere non progrediscono o comunque non causano problemi di salute né riducono l'aspettativa di vita.
Alcuni tumori alla tiroide, alla prostata, al seno sono tra questi esempi, e ne abbiamo già parlato più volte qui su 5LB Magazine:
- i tumori al seno diagnosticati con la mammografia, con gli ultrasuoni o con la risonanza magnetica sono più a rischio di eccessi di trattamento, rispetto a quelli segnalati dalla donna che si auto-esamina.
Poichè facciamo controlli con tecnologie sempre più avanzate capaci di trovare tumori sempre più piccoli, ne troveremo sempre di più nonostante non siano pericolosi e non si sviluppino.
Questo non solo rappresenta un'evidente fenomeno di sovra-diagnosi, ma conduce alla impressione fallace che il cancro al seno sia più comune di quello che è.
Ho già affrontato ampiamente la questione in questo altro articolo, proprio parlando di cancro al seno, considerato il tumore "più diffuso": Più migliorano i controlli preventivi, più il cancro si diffonde.

- un altro esempio riportato è il cancro alla tiroide, molto comune: le donne sono considerate tre volte più a rischio degli uomini. Eppure il tasso di mortalità è pressoché identico tra uomini e donne.
È quindi possibile che le donne siano solo molto più soggette a controlli degli uomini, con una conseguente maggiore rilevazione di noduli: le azioni che si compiono nella presunzione che il fattore di rischio sia effettivo e già verificato, lo "auto-avverano" e lo corroborano con i dati.
Il fattore di rischio del genere sessuale (la donna tre volte più a rischio per il cancro alla tiroide) potrebbe essere quindi più apparente che reale.
In questo nostro articolo abbiamo trattato l'eccesso di trattamento per il cancro alla tiroide: Il 90% degli interventi sulla tiroide sono inutili e dannosi.

- l'intensificazione dei controlli su "categorie a rischio", come i membri delle famiglie di coloro che hanno avuto un cancro (per presunzione di predisposizione genetica), comporta la rilevazione di un maggior numero di tumori.
Questa consuetudine può dare l'impressione che la storia familiare sia un fattore di rischio più importante di quello che realmente è.
Qui un nostro approfondimento sulla questione genetica: Gemelli, geneticamente identici, innegabilmente diversi.

Uno degli autori, Gil Welch, professore di medicina al Dartmouth Institute for Health Policy and Clinical Research specializzato in sovra-diagnosi, spiega in un articolo su STAT:
Se noi facessimo biopsie a uomini senza una storia familiare di cancro alla prostata, con la stessa frequenza con cui facciamo biopsie a uomini che ce l'hanno, troveremmo anche tra loro molti tumori.
La storia familiare influenza quanto aggressivamente cerchiamo il cancro alla prostata e quanti ne troviamo di conseguenza.
Il fattore di rischio diventa una profezia che si auto-avvera.

In metafora, come quando un ipocondriaco ossessionato dalle malattie finisce per stare sempre male.

Gli autori spiegano quindi che screening aggressivi possono distorcere la nostra comprensione generale del cancro, perchè la spinta alla "diagnosi precoce a tutti i costi" aumenta la rilevazione di tumori "controllo-dipendenti" (cioè che aumentano solo a causa di aggressive politiche preventive) e restituisce quindi la falsa impressione di un aumento dell'incidenza delle neoplasie nella popolazione.

In altre parole, la frequenza e l'intensità dei controlli, eseguiti su soggetti sani in base a ipotesi di rischio, possono ingannarci non solo sulle cause stesse, ma anche su quanto un cancro è diffuso.
Welch aggiunge: "Rilevare tumori che non si manifesterebbero mai sta rovinando la nostra comprensione dei fattori di rischio."

Caccia al mostro cancro
IL RUOLO DEI MEDIA

Siamo costantemente sotto pressione da raccomandazioni di "screening a tutti i costi", ai quali si sovrappone sempre più il "vaccino a tutti i costi", condizionati da testimonial celebri, dottori, istituzioni e, soprattutto, organi di informazione.
Il messaggio prevalente è chiaro: "meglio prevenire che curare" e "anticipalo prima possibile". Nonostante si tratti di messaggi pieni di buone intenzioni, carichi di trasporto emotivo, non sono basati su evidenze scientifiche e spesso mancano di veicolare adeguatamente i rischi correlati.
Abbiamo riportato spesso di certe manovre propagandistiche e ben poco informative, che ci scortano ogni giorno dentro il precipizio della cultura della "medicalizzazione preventiva totale".

Otis Brawley, tra gli autori dell'articolo e medico nel comitato scientifico dell' American Cancer Society, intervistato da Health News Review parla del comportamento degli organi di informazione nei confronti dell'argomento "screening":
Negli anni 80 e 90 il messaggio prevalente dai media era controlli, controlli e ancora controlli. Solo negli ultimi 10-15 anni ci sono alcuni giornalisti che hanno iniziato a mettere in dubbio questo approccio.
E questa questione è riferita anche alle lobby e alle organizzazioni che si occupano di particolari malattie, a causa di un loro comprensibile conflitto di interessi "emotivo". Lo so, io lavoro per una di queste. Ma sia i giornalisti sia le organizzazioni devono essere sinceri e accurati quando parlano di screening. Perchè le persone possono essere danneggiate.
Abbiamo visto numerosi esempi di come l'eccesso di entusiasmo per la diagnosi precoce ci ha fatto precipitare in azioni nocive e deleterie, prima ancora di averne evidenza scientifica.
Io voglio che la gente capisca che la decisione di sottoporsi a screening non è un semplice e scontato "perchè no?".
Brawley dice che è stato spesso accusato di essere anti-screening...su questo risponde:
Non sono anti-screening. Sono contro l'eccesso di enfasi intorno agli screening, contro l'eccesso di fiducia su qualcosa con scarsa evidenza a supporto.
C'è del buono e c'è del cattivo negli screening. Il buono si trova in quegli studi randomizzati, solidi, che mostrano che le persone vivono di più quando sono sottoposte a controlli preventivi, piuttosto che il contrario. Posso citarvi 11 studi che mostrano che lo screening di donne oltre i 50 anni riduce il rischio di morte. 
Ma per la prostata questo è un argomento ben più difficile da sostenere. E nel caso della tiroide non abbiamo studi randomizzati a supporto dello screening. Siamo proprio all'estremo opposto.

Welch e Brawley credono fermamente che gli screening dovrebbero essere basati su prove rigorose di efficacia. Per alcuni tipi di tumori le prove ci sono, per altri sono del tutto assenti.
I media dovrebbero fare un lavoro migliore nel comunicare queste incertezze, evitando quei sempre frequenti annunci iperbolici che mettono radici più in un fanatismo scientista che nell'empirismo scientifico.
Se guardiamo oltre, dobbiamo prestare attenzione al fatto che il rapido avanzamento tecnologico probabilmente spingerà questa ossessione del "prevenire prima possibile" al parossismo; e chiederci: cosa è davvero utile alla salute? 
Senza dare nulla per scontato.