Sconfiggere la malattia: una guerra con se stessi

Mauro Sartorio
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Quando si entra in un ospedale, succede spesso che ci si senta come arruolati nell'esercito.
I colori e le luci sono tristi, chi è sotto pressione ci lavora manifestando impazienza, gli orari sono da caserma, il cibo cattivo.
Entri in un meccanismo, una specie di catena di montaggio che segue un protocollo, secondo cui per prima cosa vieni sottoposto ad una trafila di analisi e controlli.
Nessuno ti guarda in faccia per vedere se stai bene e quale umore hai, ma si guardano le macchine.
Ti sembra che senza la decodificazione dei macchinari non esisti. L'unico modo che si ha per conoscerti sono gli esiti degli esami, che sono facili da leggere.
Una volta ottenuto il responso delle macchine inizia la cura, che è una guerra ingaggiata con la malattia.
Capita che nel furore della battaglia si esageri coi farmaci, ma bombardare per la vita è ben giustificato.
Un continuo susseguirsi di medici ti disorienta.
I generali di questa battaglia alle malattie ti possono sembrare dogmatici e confusi al tempo stesso, a volte possono dare l'impressione di muoversi a casaccio senza sapere cosa stanno facendo, ma nell'emergenza fanno sempre il loro meglio con tutti i mezzi di cui dispongono.
Tu sei nelle loro mani e speri solo che vincano questa guerra. Sottostai quindi agli ordini superiori.
Sei entrato in un sistema militare e devi adeguarti. È proprio una guerra. Certamente anche finanziata, come tutte le guerre, dai poteri forti.
È dura, ti sei irreggimentato in un sistema che difficilmente ha spazio per occuparsi del tuo benessere (per vari motivi), però è capace di ingaggiare un conflitto armato senza esclusione di colpi contro la tua malattia.

La malattia.
Contro cosa stanno combattendo i medici? Cos'è che devo permettergli di fargli sconfiggere?
Cos'è questa cosa che mi mangia dentro, voglio che mi sia sradicata via! Vi prego distruggetela!

Anche se ormai è un po' di tempo che me la porto dietro, questa roba non sono io, prima non ce l'avevo.
A un certo punto qualcosa è cambiato, e questo è uno stato in cui il mio corpo sta vivendo da qualche tempo.
- Ora sto proprio male.
- È il tuo corpo, aiutalo a lavorare.
- In che senso?
- È molto debilitato, ha passato un periodo di tensione, ha bisogno di tempo e riposo per riparare tutti i tessuti danneggiati. È un lavoro molto intenso.
- Ma è un male indicibile, non lo voglio!
- Certo che non lo vuoi, ma dopo che hai scalato una montagna, non concederesti una giornata di riposo alle tue gambe calde e dolenti? O ti metteresti a sfiancarle di più per non sentire il dolore?
- Penso che me ne starei sdraiato un giorno intero, o comunque le userei il meno possibile.
- E adesso invece pretendi che non ci sia nessuna stanchezza e nessun male, e fai la guerra a questa condizione?
- Ma adesso ho una malattia!
- Sì, sono cellule e tessuti che lavorano, gonfiano, scaldano, tirano, fanno dolore, ripristinano...magari non le gambe, un'altra zona che ha bisogno di essere aiutata a fare il suo mestiere.
Quando ti tagli un dito, sei tu che decidi che si deve rimarginare o lo fa da solo, come se la pelle avesse già l'informazione precisa su cosa fare?
- Certo che fa da solo
- A quel punto aiuti la ferita a rimarginarsi o inizi a scuoterlo per mandare via il male?
- Lo tengo fermo e aspetto, e se è troppo profondo il taglio lo disinfetto, lo bendo, e aspetto che guarisca.
- Quindi ti fidi del risultato?
- Certo, dopo ogni taglio mi si sono sempre fatte delle croste che poi sono cadute. A volte resta la cicatrice.
- Adesso il tuo corpo sta rimarginando. Ti sei tagliato, hai scalato la montagna, ma adesso, come hai sempre fatto, devi dare la fiducia e aspettare che la cicatrice si chiuda. Non puoi farlo tu, lo fa da solo. Se è troppo profonda la ferita e vedi che fa fatica a rimarginare, puoi aiutarlo con un medicamento, senza dubbio. Ma ha bisogno del tempo che serve.
- Chiaro
- Se però insisti a usare il dito con il rischio di tagliarti, la ferita non si rimarginerà mai, e continuerà a essere gonfia, anzi peggiorerà pure e farà sempre più male. Poi tu ti tagli ripetutamente sempre nello stesso punto: cosa fai così maldestramente? Te ne accorgi?
- Proprio non lo so, ma ci casco sempre
- Potrai iniziare a prestare attenzione, per imparare a fermarti un secondo prima di ripetere il gesto. È una routine che ripeti da tempo, ma alla quale non fai caso.
Ma ora che il tuo corpo sta rimarginandosi e riparandosi, vuoi fargli la guerra? Vuoi respingere il bruciore e il dolore con la forza? Vuoi costringerlo a guarire?
Vuoi fare braccio di ferro con il tuo corpo? Hai mai fatto braccio di ferro con te stesso? Braccio destro contro braccio sinistro, con tutte le forze. Chi pensi vincerebbe?
- Nessuno, è ovvio
- Ma se sei cocciuto puoi andare avanti anche parecchio a spingere. Quanto pensi di poter resistere? Un'ora? Un giorno? E alla fine come ti sentirai?
- Se vado avanti un'ora a spingere come un dannato arrivo alla fine che sono uno straccio e che non muovo più le braccia, sfinito.
- Ecco. Allora lotta contro la tua malattia. Non mollare. Con tutte le forze che hai, spingi, puoi vincere. Tutti i familiari e gli amici che ti sono vicini sono con te. Ti spronano, ti sostengono e tu non li puoi deludere. Ce la farai, non mollare, sei più forte della malattia.

Questa è una guerra impossibile combattuta contro se stessi.
Poichè non deve e non può essere persa, è una guerra di resistenza che sfinisce, prosciuga ogni risorsa, data la capacità di persistere, tenere duro con grande cuore e disciplina militare, anche al costo finale di consumare la vita stessa.


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foto di ramzi hashisho