Parola d'ordine: INTEGRAZIONE

Eleonora Meloni
7 minuti di lettura
Aggiornamento marzo 2021: ho scritto questo articolo nel 2016 in seguito ad alcuni fatti di cronaca.
Il tema mi è sempre caro e, in seguito agli eventi del 2020 (ovvero Covid19) per me è ancora più sentito.
Per questo ho voluto farne un video in questo periodo storico, lasciando comunque inalterato il testo.


Propongo una riflessione su quel fenomeno che è l’insorgere di schieramenti in ogni ambito, dal tema più banale come decidere se fare indossare il grembiule a scuola, al più complesso come scegliere il tipo di intervento a cui aderire quando mi considero “malato”. 
Ci schieriamo da una parte e dall’altra, per decidere cosa sia giusto e cosa sbagliato.
Ma "giusto e sbagliato" per chi?

La campagna mediatica intorno al caso giudiziario per un medico che non avrebbe eseguito il protocollo, si è trasformata in un processo contro le scoperte del medico tedesco Hamer. È come se un ingegnere costruisse un ponte che poi crollasse e, notizia dopo notizia, l’attenzione e la colpa si rivolgessero alle leggi della fisica che, secondo questa logica, sarebbero fallaci.
Questo tipo di informazione imprecisa e capziosa non consente di costruirsi un‘opinione salda, basata su fatti concreti e provati; eppure eccoci qui schierati, chi a difendere e chi a condannare, non solo il medico torinese del quale non sappiamo concretamente nulla, ma anche le leggi biologiche. Ognuno fermo, inamovibile dalla sua posizione mentre cerca di far prevalere il suo punto di vista, talmente identificato nella propria opinione che non può prestarsi nemmeno all'ascolto del suo interlocutore. 

Integrare conoscenze per scegliere terapia
Rendiamoci conto che, quando ci identifichiamo fortemente in una opinione tanto da arrivare ad essere molesti e provocatori, non lo facciamo perchè siamo cattivi, ma stiamo reagendo a particolari dolori della nostra storia personale, che vanno rispettati.
Una dolorosa esperienza, come la perdita di una persona cara, può farci accanire contro qualcosa (una chemioterapia o una terapia alternativa) rendendoci faziosi. 
In questi casi la reazione è totalizzante e non c’è spazio, né volontà, per accogliere ragioni diverse, arroccati in una opinione che dà un senso a quella ferita ancora aperta. 

Ma nel fermento delirante delle dispute, chiediamoci come possa sentirsi la persona che ha delle difficoltà di salute e sta cercando di trovare la migliore soluzione personale per stare meglio. 
Non sto dicendo che non si debba prendere una posizione o restare neutri per piacere a tutti: non schierarsi, in questo caso, va inteso come "permettere" che ciascun punto di vista (anche se posso non condividerlo) abbia diritto di esistere e di realizzarsi per chi ne è convinto, perché è solo dalle proprie convinzioni profonde che l'individuo trova la forza personale per affrontare le dure prove della vita. 

Per esempio: se ad un nostro caro viene fatta una diagnosi di “adenocarcinoma epatico” e noi, spinti dal giudizio personale su quella parola, spinti da un futuro scenario nefasto che ci immaginiamo sulla base di paure strettamente personali, dessimo il nostro "buon consiglio" di non seguire le terapie proposte perché pericolose, o addirittura mortali, “non seguire la medicina ufficiale, è pericolosa!”... come credete che si possa sentire? Come pensate che possa reagire a livello biologico?
Come minimo sentirebbe di non poter più scegliere, perdendo i propri riferimenti, sentendosi in grave pericolo senza via d’uscita e senza sostegno...oltre al fatto che probabilmente si sentirebbe in dovere di non deluderci. 
In tale circostanza, conoscendo le 5LB, possiamo immaginare con buona probabilità che l’organismo reagisca sensatamente con il "programma del profugo", peggiorando i sintomi? 

Si correrebbe lo stesso rischio se, viceversa, dicessimo al nostro caro di seguire le terapie proposte senza farsi domande, e lasciar perdere tutto ciò che è ritenuto "alternativo" o "complementare" perchè, secondo il nostro parere, solo se seguirà i protocolli ufficiali potremo dire che è stato fatto tutto il possibile che la scienza ha a disposizione.
È probabile che ci sentiremmo a posto con la coscienza in caso di fallimento, oppure che staremmo tranquilli perchè è la strada che avremmo scelto per noi stessi, quella su cui siamo fortemente convinti.
Ma cosa pensiamo che possa provare questa persona se, dentro di sé, sente di voler affrontare il suo problema di salute con strumenti diversi dal convenzionale e invece ci trova in opposizione, senza il nostro appoggio in un momento cosi delicato della sua vita? 
Come reagirebbe la sua biologia?

E come si sentirebbe chi si trovasse in queste esperienze nel leggere anche solo in internet posizioni categoriche e assolutistiche?

In tutti i casi, senza rendersi conto, la persona si sentirebbe in estremo pericolo, in mezzo a cose “giuste e sbagliate”, cose “che non si devono fare assolutamente”, privato della possibilità di comprendere con lucidità cosa può in quel momento essere il meglio (o il meno peggio) per lui. 

Non c’è una verità unica e universale, che funzioni per tutti allo stesso modo. 
I protocolli, che siano convenzionali o "alternativi", ne sono un concreto e valutabile esempio: ogni tipo di intervento terapeutico ha avuto almeno un fallimento e almeno un successo, così per alcuni funziona, per altri no. Questo mostra che non esiste la terapia definitiva, efficace in assoluto per tutti (esistono solo probabilità di efficacia).

La convinzione che un intervento sia meglio di un altro è frutto della nostra storia personale, una sacra credenza, che però vale solo per noi ed è giusto applicarla al nostro caso. 
Il riconoscimento ed il rispetto delle convinzioni di ciascuno è il primo passo per essere di aiuto, perchè esse sono il risultato di un bagaglio di esperienze accumulate in tutta una vita, grazie alle quali quell'individuo è riuscito a sopravvivere fino ad oggi.
Sarebbe irrispettoso e soprattutto un azzardo volere imporre il nostro mondo di esperienze e credenze sopra quello di un altro, nonostante le migliori intenzioni.

Anche creare dualità nella medicina, facendo una semplice distinzione lessicale tra “medicina ufficiale” e “medicina alternativa”, pone grandi ostacoli se non addirittura una paralisi alla scelta da parte della persona in cerca di aiuto. 

Diventa ora comprensibile perchè è imprudente, se non pericoloso, voler convincere chiunque, anche un amico o un familiare, magari molto spaventato, che sta sbagliando approccio.

Non solo il ruolo del terapeuta/consulente/medico, ma anche quello di amico e parente diventa molto più funzionale e veramente di sostegno anche solo con una rispettosa presenza, che permetta la creazione di uno spazio per compiere delle scelte, e non la sua riduzione “chiudendo porte” con disapprovazione.

Per questi motivi, in questo scontro tra fazioni, la mia personale posizione e parola d'ordine (che coincide con quella del 5LB Magazine) è INTEGRAZIONE.
Non posso schierarmi perchè ciascuno, dal suo vissuto, dalla sua prospettiva di vita, porta la propria verità.
Nella mia esperienza personale, prima come biologa e poi soprattutto come utente della medicina, ho attraversato la fase dello schieramento (da “scientista” ad “alternativa”), ma i risultati in entrambi i casi non mi soddisfacevano. 
Potere ascoltare quello che veramente reputo essere il meglio, o il meno peggio per me, a prescindere da pareri o protocolli, è la strada che mi permette di raccogliere le forze per affrontare le grosse sfide, come può essere far fronte a una diagnosi che mette in discussione la mia vita.
È importante per me applicare lo stesso criterio con chi mi si avvicina in cerca di uno spazio diverso, per poter fare delle scelte in presenza di sé e con meno paura.

Il modello delle 5 leggi biologiche permette di comprendere cosa sta accadendo ai tessuti, conoscere la causa che ha attivato il Programma Speciale Biologico e Sensato, e poter contattare quei sentiti profondi che ci mantengono incastrati in routine comportamentali e recidive fisiche, verificando quanto siamo lontani da ciò di cui abbiamo davvero bisogno.
Le 5LB non descrivono quindi un metodo di intervento o una cura (che potrà essere sintomatica o causale), ma sono uno strumento di conoscenza che amplia in modo straordinario il ventaglio di scelta.
Inoltre, ridimensionare la paura riconoscendo un senso biologico alla "malattia", permette di creare tanto nuovo spazio per fare delle scelte in modo attivo e lucido.

La terapia migliore è allora quella che sostiene la persona e la aiuta a superare i momenti più delicati, nel rispetto delle convinzioni dalle quali trae la sua forza...per andare verso la vita.

Non diciamo che prendere una posizione di opinione sia male, ma in questo delicato campo, e soprattutto in condizioni di urgenza, occorre distinguere ciò che è teoria, su cui si può disquisire, e ciò che è efficace nella pratica. 
La fedele coerenza a un'idea non è efficace: l’integrazione crea lo spazio per permettere di seguire ed adattarsi in modo funzionale a ciò che accade nella realtà della singola e unica persona.


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