È vero che in fisica quantistica l'osservatore crea la realtà?

Mauro Sartorio
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Nell'occasione di una chiacchierata con Paolo Renati sulle più recenti ricerche intorno ai campi morfogenetici all'origine del cancro (disponibile nel suo corso 5LB DEX sulla materia vivente), ho approfittato per spremere l'amico ricercatore su una questione che si è imposta nell'ambito della quantistica ed ha ormai acquisito i tratti del mito nell'ambito delle discipline olistiche: l'osservatore crea la realtà. È vero? 

- È vero che quando il soggetto osserva l'onda di probabilità, questa collassa materialmente in particella?
- Possiamo quindi dire che la realtà esiste solo perché c'è una coscienza che ne fa esperienza? È la coscienza che crea l'universo?
- È vero che il gatto nella scatola è contemporaneamente sia vivo che morto?

Se è pur vero che in qualche modo io creo la mia realtà, creo i significati che le do, e che quello che faccio della mia vita è causa del mio destino, invece non sembra propriamente vera l'interpretazione estrema che la realtà sia materialmente generata dalla mia coscienza.
È importante fare una distinzione: una cosa è la realtà, un'altra cosa sono le descrizioni che noi facciamo della realtà.

La parola a Paolo Renati, con il punto di vista della Quantum Field Theory. 
L'esposizione è molto tecnica e di difficile comprensione: comunque un ottimo complemento per i nostri studenti in Elettrodinamica della Materia Vivente.




Mauro Sartorio: Volevo chiederti una cosa che non c'entra niente con questo, che è la classica cosa che si dice della quantistica - non te l'ho mai chiesto: quando si dice un oggetto esiste quando tu, coscienza, lo osservi... mi sa che...

Paolo Renati: è quella hybris convenzionalista che viene fuori dall'approccio della scuola di Copenaghen della meccanica quantistica, che ti dice che l'oggetto è creato dall'osservatore. 
"L'elettrone l'ho osservato in un punto e l'ho creato dove l'ho osservato". 
In realtà è perché si privilegia il concetto di particella rispetto a quello di campo
In realtà quello che accade è che esistono campi di gauge che si danno in forma in qualche modo quantizzata; ma quello che è localizzabile in qualche maniera...come dire, quello che tu localizzi in qualche punto - e quindi ha proprietà di località che sono proprietà classiche - è dovuto al fatto che tu compi una procedura classica di misura
Cioè il tuo apparato di misura è classico, è localizzato nello spazio, è macroscopico: quindi cosa significa? 
Che tu hai un campo sostanzialmente che non è sottoponibile alle categorie di località e isolabilità; nel momento in cui tu ci operi e crei dei transfer di energia (perché questo è quello che fa una misura, cioè è un momento in cui nello spazio-tempo tu crei una trasferimento di energia), è ovvio che questo trasferimento avviene classicamente perché tu sei una misura, un sistema classico. Il tuo sistema di misura è classico.
Ma non vuol dire che quella cosa non esiste e l'hai creata tu.
È una cosa differente.

Mauro Sartorio: è come dire che io cerco di misurare un'onda con un metro da sarto e però lo posso fare solo se io fissassi quell'onda in mare... ma siccome l'onda è continuamente in movimento, in trasformazione, allora non posso farlo?

Paolo Renati: Non so se il paragone è giusto... 
Il campo è un qualcosa che è definibile in se stesso a prescindere dalle categorie classiche di isolabilità e località. 
Quello che invece ha fatto la meccanica quantistica è che non è stata capace di abbandonare questa approssimazione semi-classica in cui l'ontologia della particella, della parte in sé, è stata mantenuta. 
E allora cosa è successo: che ha sacrificato sostanzialmente la possibilità di avere una realtà in se stessa a prescindere dall'osservatore. Come se poi, tra l'altro, l'osservatore fosse qualcosa di altro dalla realtà. 
Questo è un postulato che non ha alcun senso. 
Allora c'è una tuttità e all'interno di questa tuttità avvengono processi di scambi energetici, tra cui anche le misure. 
E la misura comporta - in quanto procedimento classico - che tu in qualche modo fai sì che il campo crei una transizione da uno stato di vuoto a un altro o viceversa, che è localizzata nello spazio, perché tu sei un osservatore classico. 
Ma questa è una cosa che fa capire che: 

  1. la particella non è una particella, è soltanto un'increspatura del campo. Cioè il quanto è un modo di darsi del campo. 
  2. non hai la possibilità di giustificare ontologicamente un oggetto che per essere definito ha bisogno di categorie classiche per esempio come posizione e velocità, che sono due connotati che nella quantistica vengono totalmente persi da un punto di vista di conoscenza infinita, perché vige il principio di indeterminazione.
    Quindi tu cos'hai? Un assurdità: tu hai una cosa che ricorda il punto materiale di Newton, col solo piccolo grande problema che non hai quei due strumenti che necessitano di definire il punto materiale, cioè la sua posizione e la sua quantità di moto momento per momento. Quindi non puoi tu definire una traiettoria.
    Infatti tra l'altro le particelle quantistiche sono indistinguibili per questo. Quindi tu non sai se stai guardando un secondo prima e un secondo dopo lo stesso elettrone. 

Mauro Sartorio: quindi a questa domanda risponderesti semplicemente "non è vero"? 

Paolo Renati: Certo, non è vero. 
Nel senso: è chiaro che poi in base a come tu procedi, al tipo di misurazione che fai, ti restituirà determinate proprietà di quel campo e quindi magari riesci a vedere di più un aspetto (tipo un aspetto ondulatorio) o un aspetto più corpuscolare. 
Ma questo non significa che "lo crei tu", e soprattutto va abbandonata questa idea che c'è la parte che esiste in sé: c'è in realtà questo mare - rifacciamo sempre questo esempio - e queste ondine che sono increspature del mare che in qualche maniera, quando hanno delle condizioni al contorno (come di densità sufficiente) fanno la transizione che le fa passare da virtuali (cioè che durano soltanto pochissimo) a stabili.
E tu le vedi in qualche modo macroscopicamente come qualcosa che è...

Mauro Sartorio: Emergente...

Paolo Renati: Esatto, emergente, in qualche modo "esistenti".

Mauro Sartorio: va bene, era una parentesi, perché mi è venuto in mente l'altro giorno "possibile che non gliel'ho mai chiesto?"... quando dici "quantistico" nel mondo olistico dici quella cosa lì.

Paolo Renati: Sì perchè è passata l'idea della meccanica quantistica, ma ricordiamolo: la meccanica quantistica è una approssimazione semi-classica
La vera fisica quantistica è la Quantum Field Theory.

Mauro Sartorio: cosa ti dice un uno che ha studiato meccanica quantistica se gli dici questa cosa? "Guarda, la vera quantistica è la QFT".

Paolo Renati: raramente comprende che la meccanica quantistica è un caso particolare della QFT quando tu hai la situazione di un sistema in cui l'operatore numero ha valori bassi. 
Cioè tradotto: hai il sistema di eccitazioni di campo (cioè di quanti) diluito, come se fosse che ne hai pochi. Il che è molto raro, perché è molto raro avere la possibilità di isolarli... le eccitazioni, ma anche le particelle, l'elettrone da solo... è molto raro.
In questo specifico caso, quandunque fosse possibile avere "diluted gas of quanta", cioè un gas diluito di quanti, tu trovi che la Quantum Mechanics con la sua funzione d'onda di Schrodinger è rappresentativa di una descrizione in qualche modo oggettiva della realtà in quanto è un caso particolare a valori dell'operatore numero bassi della Quantum Field Theory.
Ma in generale no: cioè se tu la consideri in generale e pretendi che quindi la tua funzione d'onda sia in qualche modo una descrizione oggettiva dello stato di realtà delle cose, non è così. 
Gatto Schrodinger
Infatti, come Wheeler diceva, "la funzione di Schrodinger sta alla realtà fisica così come le previsioni meteo stanno al meteo".
Capisci? È una descrizione. 
E cosa succede tendenzialmente oggi, anche tra i fisici: succede quel grande collasso che è dovuto al presunto isomorfismo tra realtà e descrizione della realtà
Cioè "per me la realtà è tutto ciò che so dire della realtà". 
È il famoso paradosso del gatto: ti dicono il gatto di Schrodinger è contemporaneamente vive e morto perché vive una sovrapposizione di stati; tu questa sovrapposizione di stati (vivo e morto) effettivamente da un punto di vista formale matematico ce l'hai... il fatto è che quello è il che cosa tu sai del gatto, non quello che il gatto è!
Questo è il problema. 
Quindi è chiaro che se io postulo che la realtà fisica è quello che posso dire della realtà, sono fregato... cioè sono "freGatto"...
Capito? Il gatto è vivo... ma è solo nella mia conoscenza. Eccolo lì il problema, tra l'altro di un probabilismo frequentista, invece bisognerebbe recuperare un probabilismo bayesiano. 
Cioè: il probabilismo frequentista è quello che ti dice "bene, tu hai la monetina, la lanci in aria e hai (se non è truccata) il 50% di probabilità che esca testa o croce".
Questo non significa che se tu lanci 10 volte la monetina tu avrai 5 testa e 5 croce. Questa fattualità di 50 e 50 verrebbe rispettata quando tu ti sposti a grandi numeri: la lanci un milione di volte, certo che cominci sempre di più ad approssimarti a metà e metà. 
Quindi è lì che la proprietà frequentista tende a quella bayesiana: infatti c'è un movimento che si chiama QBism, che è il Quantum Bayesianesimo, dove appunto recuperano un concetto non frequentista della probabilità. 
Quindi in questo senso anche in un'approssimazione ancora semiclassica della fisica quantistica (come la Quantum Mechanics) con questo tipo di probabilità (che ti ricorda che quel tipo di probabilità è il tuo grado di confidenza soggettiva, cioè di quanto tu sai sulla realtà) ti dà comunque già un'apertura diversa, un significato diverso di quello che dici. 
Non come "Ah no, io finché non ho aperto la scatola il gatto è sia vivo che morto". Ma che cavolo stiamo dicendo! 
Il gatto è in un qualche modo che però noi non sappiamo.

Ecco questo è un grosso problema della fisica: fisici, vi prego, cerchiamo di non fare casino. Allora, un conto è la realtà fisica e un conto è quello che io so dire dalla realtà fisica: se le mettiamo insieme queste cose qua non va bene, perché quella lì è la descrizione! 
Capiamolo una volta per tutte, ragazzi che studiate fisica oggi... è importante questo!
Vero?

Mauro Sartorio: È per questo che gli studi medico-scientifici li interrompono dopo pochi mesi: perché tirano una monetina cinque volte testa e poi... "Aspetta è andata bene così!" e chiuso. È un trucco statistico.

Paolo Renati: Esatto. Altra piccola chicca, l'ha citata Alessandro Giuliani questa: quando lui ha citato Bruno De Finetti come un grandissimo pensatore nell'ambito della statistica... ecco leggetevi i testi di Bruno De Finetti, matematico nonché assicuratore della prima metà del secolo, che capiva benissimo che quando si fa una descrizione della realtà e la si fa appunto in termini probabilistici, è sempre un qualcosa di soggettivo ed è sempre ricondotta a quanto tu sai dire della realtà
E quindi c'è sempre una visione più correttamente e consistentemente bayesiana.

Mauro Sartorio: va bene...


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Da una domanda di un lettore che ha chiesto: "Come dobbiamo interpretare l'esperimento della doppia fenditura?"
La risposta di Paolo Renati: 
Con la doppia fenditura avviene il risolvere uno o un altro aspetto (corpuscolare, locale, o ondulatorio delocalizzato) di un indiviso processo fisico... ma non è che si "crei" qualcosa... la modalità di osservare secondo modalità classica e locale (l'unica propriamente possibile per ogni misura diretta) proietta queste proprietà classiche di località, parzialità e finitezza sul sistema con cui si interagisce (una misura è sempre una interazione, ecco perchè il sistema misurato cambia) e, pertanto, abbiamo l'apparenza di "creare" qualcosa...quando in realtà ne stiamo cogliendo alcuni o altri aspetti... e questo è pacifico.
Ciò che è insostenibile è dire che venga creata "la particella" (o l'onda, o altro)....infatti al più si perturba il sistema e ne si produce un nuovo stato conseguente proprio alla nostra interazione/osservazione/misura con esso.. ma questa non è una novità... accade in ogni circostanza in quanto tutto è relazione.. e addirittura il presunto "osservatore" e la "realtà" non sono "due cose"... quindi si tratta sempre della realtà che è un sistema di auto-relazione in cui avvengono processi (come il fatto che qualcuno misuri qualche porzione della stessa, risolvendone aspetti piuttosto che altri) ed in cui ogni "parte" è sempre condizionata dal resto in quanto necessariamente in relazione, non isolabile e co-appartenente alla medesima tuttità.
Il problema di postulare questo "atto creativo" entro l'approccio convenzionalista della Meccanica Quantistica, non sta nel fatto in cui, ovviamente, è implicata una nostra partecipazione ed influenza allo svolgimento del reale (ripeto, non potrebbe essere altrimenti), ma nel sussumere che vi sia una intrinseca alterità e distinzione tra "osservatore" e "osservato", così come nel non considerare che il sistema, a livello fondamentale (parecchio avvicinato con le misurazioni a scala molto piccola) ha sempre aspetti non-locali e non partizzati e che la nostra misura, di fatto un atto "classico", necessariamente produce (loro dicono "collassa") una qualità che rispecchia le modalità (classiche) con cui la misura (l'interazione, e quindi la perturbazione) è stata necessariamente condotta.
Infine, il maggior problema di tutta questa costruzione concettuale ed interpretazione dei risultati sperimentali, lo sottolineo, è che ritenere che la realtà sia letteralmente 'creata' dalla misura o dalla "conoscenza" che otteniamo tramite osservazione circa "un ancora indefinito/sovrapposto stato del sistema",  equivale a postulare che la realtà corrisponde alla DESCRIZIONE della realtà ....e, ancora peggio, che la realtà esiste solo in quanto descrivibile (computabile, osservabile, misurabile), quindi che sostanzialmente esiste solo ciò di cui si può dare conto tramite definizioni apodittiche e/o misurazioni o conteggi (che tuttavia sono sottoposti ad incertezza inestinguibile..ecco l'indeterminazione)...

Quindi...? cosa vuol dire tutto ciò...? Vuol dire che avremmo una realtà totalmente impossibilitata a mantenere coerenza in se stessa, auto-consistenza...cioè sarebbe scorrelabile da se stessa... verrbbero a cadere persino quelle "leggi" riconoscibili su un piano descrittivo ed esperienziale (anche da un gatto o un'ameba) senza le quali il processo di realtà finirebbe con "auto-lacerarsi", "auto-negarsi".... in una parola in questa illazione interprtativa cade ogni REALISMO, lasciando il passo solo ad una convenzionalistica lettura che farebbe sì che qualcosa esiste solo se, e perchè, "qualcuno" l'ha osservata... (aprendosi, peraltro, il problema di cosa sarebbe "qualcuno"...?? cosa vorrebbe dire "coscienza"..? Siamo veramente ancora legati a delle definizioni abborracciate del tipo "coscienza 'DI' qualcuono o qualcun altro"..??🥴😓) .
Come si vede, sono i pesupposti pre-categoriali di questo approccio (quasi follemente biocentrico) che non sono compatibili con la fattualità fisica stessa e l'idea stessa "più matura" ed eventuale di "coscienza" come campo, come dinamica e non come "pacchetto (cartesiano) affibbiato a qualcuno (peraltro non finibile in sé) o a qualcun altro" .
E, si badi bene..questo è lo stesso problema della totalmente insoddisfacente concezione che ancora oggi si ha di "anima" o "spirito".. tutte etichette e costrutti che conseguono dall'incapacità di contemplare un reale che non sia integralmente raggiungibile dai nostri strumenti concettivi e descrittivi.. tale per cui dobbiamo inventarci le divisioni cartesiane come "anima-corpo", "psiche-soma", "spirito-mondo", "dio-realtà", "coscienza-materia", "metafisica-fisica"...così come le postulate "dimensioni altre"....ecc... Questo tipo di rappresentazione sopravviverà, tenendoci fuori da una reale Presenza e autentica "PRE-ENSIONE" di realtà (per dirla con Whitehead), finchè non verrà trascesa una modalità "ingenua" di cogliere e sentire l'intero reale ed esistente come un unicum in divenire e indivisibile relazione. il trascendente esiste sul piano descrittivo, non ontologico.. perchè la realtà è necessariamente UNA ed in autorelazione.

Quindi, per concludere, la sovrapposizione di stati è qualcosa che riguarda la DESCRIZIONE, il nostro grado di conoscenza, e NON lo stato di Realtà (ad es. il come è quel benedetto gatto, o qualsivoglia fotone [che non esiste in sé]) !!

Queste ideee, per chi volesse approfondire, sono argomentate in modo formale e rigoroso nel capolavoro di Giuliano Preparata "Intriduction to a Realistic Quantum Physics", World Scientific, 2002, ISBN 978-981-238-176-7. doi: 10.1142/5111.
e potete trovare riflessioni connesse al problema epistemologico della coscienza e dell'apparente (come proprietà emergente) "libero arbitrio", in questi due saggi di mia mano:
e nel mio studio pubblicato su Physical Science & Biophysics Journal, September 28, 2022, Volume 6 Issue 2: "Relationships and Causation in Living Matter: Reframing Some Methods in Life Sciences?", DOI: 10.23880/psbj-16000217

Comprendo bene che passare da una visione della realtà "per parti" ad una visione realmente capace di "complessione" e di continuità ontologica non è facile.. ma in queste letture potete trovare davvero degli strumenti efficaci di maturazione concettuale.

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