Alcuni commenti sulle ricerche in materia di “virus”,
esosomi, vescicole extracellulari e terapie geniche alla luce delle 5 Leggi
Biologiche
A cura di
Paolo Renati, PhD.
[L'articolo è di per sè molto tecnico, ma per comprenderlo è prima di tutto necessario leggere la prima parte, che fa a sua volta riferimento ad un articolo di 5LB Magazine intorno a virus/esosomi.
Se non conosci nulla di Elettrodinamica e del lavoro di Paolo Renati, puoi cominciare da qui]
Parte 2 – Le Terapie Geniche
A questo punto un’ulteriore importante revisione alla luce delle 5LB va chiaramente fatta anche in merito alle emergenti “terapie geniche”, in particolare quelle, cosiddette, a “vettori virali”. Fonte: Osservatorio terapie avanzate
Come caso emblematico – utile per capire i limiti di una certa lettura, ancora meccanicistica, ed eventualmente affacciarsi a spiegazioni della loro possibile azione terapeutica un poco più raffinate, che tengano conto della “storia percettiva” e del reale funzionamento (sensato) del vivente – citiamo quello di – parole testuali dall’articolo di riferimento – “un bambino affetto da una rara forma di sordità ereditaria che ha recuperato l’udito grazie al trattamento, effettuato al Children’s Hospital di Philadeplhia, con una terapia genica sperimentale…”. Fonte: Osservatorio Terapie Avanzate
La lettura degli eventi è
ovviamente molecolarista, imputando ai geni il ruolo CAUSALE
dell’alterazione di funzione. Si scrive infatti:
“Chiamata anche sordità ereditaria, l’ipocausia congenita è una patologia che colpisce fin dalla nascita, lasciando nel silenzio i bambini e le bambine che ne sono affetti. Sono molti i geni coinvolti nelle diverse forme: quando uno di questi geni è difettoso, viene prodotta una versione errata della corrispondente proteina o non viene prodotta affatto, causando un problema più o meno grave all’udito. Trasportare alle cellule dell’orecchio la forma corretta del gene potrebbe quindi ripristinare la funzione uditiva. […] Il gene difettoso nella forma di ipocausia ereditaria che ha colpito anche Aissam [questo il nome del bimbo undicenne, n.d.r.] è quello che codifica per l’otoferlina, noto come gene OTOF. [...] L’otoferlina è una proteina espressa dalle cellule ciliate interne della coclea e, se mutata, è responsabile dell’insorgenza di alcune forme di sordità neurosensoriale profonda associata al locus DFNB9. Questo perché le cellule ciliate convertono le onde sonore in segnali elettrici che arrivano al cervello. L'ipoacusia mediata da OTOF è la prima forma monogenica di ipoacusia a essere studiata nell'ambito di una sperimentazione clinica di terapia genica.”
Fonte: Osservatorio Terapie Avanzate
È certamente condivisibile che,
mancando una proteina - nel caso, la piezoelettrica otoferlina, che trasduce le
onde meccaniche in segnali elettrici – vi sia anche un’alterazione funzionale,
ossia l’impossibilità di fare un passaggio cruciale nella ricezione del segnale
acustico. Più dubbia è, a nostro parere, l’idea che questo deficit sia
“causato” dai geni modificati, sostituendo così il ”come” della biochimica con
il “perché” della relazione di accoppiamento tra intero organismo e ambiente (che,
nella visione molecolarista, viene totalmente ignorata).
Ma proseguiamo prima nel
descrivere brevemente in cosa è consistita questa terapia genica (AK-OTOF).
Sostanzialmente, per ragioni di dimensione del pacchetto da trasferire, è stata
divisa la sequenza del gene OTOF (che codifica per la otoferlina) in due porzioni,
poi inserite in due vettori ‘virali’ distinti con l'aggiunta di sequenze
ricombino-geniche che promuovano l'unione ordinata delle due metà di sequenza
una volta rilasciate all'interno delle cellule ciliate della coclea. Poi, una sospensione sterile di queste
vescicole ripiene di materiale genetico (AAVAnc80-hOTOF) è stata iniettata in
una singola somministrazione direttamente nella coclea. I vettori utilizzati sono
dei “virus adeno-associati” (AAV) che, lo ricordiamo, non sono sostanzialmente
distinguibili, se non per arbitrio, da esosomi. Qui il trial clinico
“I risultati iniziali sul primo paziente dello studio clinico mostrano il recupero dell'udito in tutte le frequenze testate, raggiungendo livelli normali in alcune di esse entro 30 giorni dalla somministrazione della terapia genica. Nessun evento avverso grave è stato segnalato e la terapia è stata ben tollerata”
Possiamo suggerire che una lettura dei fatti, così come posta dalla ricerca, presenta alcuni problemi.
Intanto nella lettura secondo cui alle cellule di un organismo manchi l'informazione per codificare una proteina - e quindi dandole il pacchetto genetico che contiene la ricetta per sintetizzarla allora la creeranno - non si capisce perché dovrebbero farlo solo le cellule giuste, quelle ciliate, e non anche altre cellule di tessuti che sono comunque presenti nell'ambiente in cui è stata iniettata la sospensione. C’è il rischio di ricadere nella stereotipia dell’azione-reazione, come nella metafora del postino che consegna la lettera utilizzata nella prima parte di questo articolo.
Il secondo luogo non si tiene
conto della storia percettiva anche prenatale intrauterina del bambino, quindi,
non ci si occupa del perché uno specifico ceppo cellulare non stia
esprimendo quel gene (o lo stia facendo in modo diverso), lasciando le
circostanze ad una sfortunata contingenza che potrebbe inverarsi solo se si
concepisce la materia vivente come passibile di errori occorrenti sulla base di
incontri molecolari casuali.
Infine, ma non meno importante,
tale lettura non quadra con ciò che sappiamo su come funziona il vivente
riguardo al fatto che i geni sono l’ultimo step strutturale a modificarsi, come
ESITO di una fisiologia richiesta in date condizioni d'esistenza, e NON
viceversa, diventando essi poi quel substrato, quel “ricettario” per assemblare
proteine, che consenta di trasferire una configurazione un po’ più adatta, già
pronta, in seguito, anche alle generazioni successive. In questo senso anche
una soglia tra genetica ed epigenetica si comprende essere una forzatura linguistica,
nel senso che il genoma è sempre qualcosa che si adatta e si muove in funzione
delle condizioni esperite ambientalmente.
Nella lettura che qui
avanziamo, senza pretesa alcuna di essere l'unica possibile o la migliore, ci
ricolleghiamo al fatto che ogni specie molecolare è, prima che chimica, una
specie fisica che esprime cioè delle precise frequenze di oscillazione (che,
tra l’altro, le conferiscono una data forma) che sono le sue “frequenze
proprie”, così come un diapason oscilla in un preciso modo (funzione), deciso
da, immanente a, la propria forma e materiale (struttura).
In questa visione emerge molto
più semplicemente ed elegantemente come una cellula – quando necessiti, ad es.,
di produrre una proteina (in relazione alla fisiologia richiesta dall’organismo
in cui tale cellula/tessuto si trovi) – riesca ad azionare la lettura specifica
di sequenze geniche lungo l’enorme tratto del proprio DNA (circa 1.5 m!). Il
meccanismo è proprio quello del cambio di background oscillatorio a cui si
associa proprio quell’insieme di incontri biochimici cui consegue, per
risonanza, l’esposizione di un tratto di genoma, e la sua trasduzione,
piuttosto che di un altro (che sarebbe associabile solo ad altri pattern ondulatori).
In questo senso possiamo
intendere il funzionamento del genoma in un modo molto più interessante, che
tenga conto della innegabile base elettrodinamica e “resonance-driven”
del funzionamento biologico. Il genoma sarebbe un sistema di oscillatori azionabili
da, ed azionanti a propria volta, il background ondulatorio, in termini sia elettromagnetici,
sia fononici, che di altri tipi di eccitazioni (come del resto, ogni altra
specie molecolare, dalla ubiqua acqua super coerente, agli ioni alle membrane
fosfolipidiche, agli enzimi, ecc., per approfondimenti si vedano questi estensivi lavori di revisione sull’argomento.
Ciò si traduce nel fatto che ad una data condizione esperita dall’organismo, la
fisiologia e la biochimica tutta (compresa l’espressione genetica ed
epigenetica) siano modulate di conseguenza e coerenza, ossia in modo
precisamente consono, allo stato (neurovegetativo, per semplificare)
dell’organismo. E da qui emergono due aspetti:
-
la dipendenza causale tra geni, fisiologia e relazione
con l’ambiente che va letta, secondo la Quinta Legge, inversamente a come propone
il paradigma molecolarista che può “spiegare” la “malattia” solo come “errore”,
dovendo contemplare la presenza di errori nella sintassi biologica
(inammissibile se si considera la sua natura supercoerente);
-
il fatto che precise sequenze geniche sono de facto oscillatori
che producono una biochimica associata alla sintesi delle proteine per cui essi
codificano.
Quest’ultimo punto è quello
rilevante per la nostra revisione, soprattutto alla luce della curva bifasica, in
quanto ci sta mostrando il perché, nel cambio oscillatorio associato al
passaggio da una fase attiva ad un fase di riparazione, si possa avere, ad
esempio, l’arresto di una crescita di un tessuto coordinato dal paleo-encefalo
e l’inizio della sua caseificazione (mediata dai simbionti opportuni e
compresente ad un fitto scambio di esosomi tra essi e l’ospite) o del suo
incapsulamento, con netti cambi di espressione genica che fanno intendere delle
cellule da “maligne” in una fase a “benigne” in un’altra.
In sostanza il genoma è sì la risultante del
bisogno fisiologico, ma al contempo è anche la premessa, un possibile trigger
di oscillazioni associate alla sintesi delle proteine (locus per locus
associate). Ovviamente questo ultimo aspetto si riferisce ad un passaggio che
può verificarsi solo con senso biologico, ossia solo se associato ad un
implemento della stabilità termodinamica dell’organismo.
E allora arriviamo al punto
circa una lettura diversa della terapia genica: è possibile che il materiale
genico (introdotto con le vescicole/vettori “virali”) promuova lo "spostamento
in fisiologia" (con conseguente ricostruzione o smantellamento di un
tessuto, a seconda del foglietto embrionale) per il fatto che a quel pacchetto
genico sono associate le frequenze di lavoro espresse proprio durante quelle
fasi riparative, ed a cui infatti conseguono le sintesi proteiche delle
proteine per le quali quel pacchetto codifica.
Quindi, NON ci troviamo di
fronte ad un quadro del tipo "risuono con certe vescicole contenenti
materiale genetico informativo e questo mi fa esprimere certe proteine o fare una
data fisiologia perché la cellula obbedisce a quelle istruzioni" tout
court... perché se così fosse, avalleremmo allora anche la possibilità di
far fare fisiologie distruttive se il pacchetto genetico fosse un
"trojan" (come nella lettura basata sull’idea del contagio che molti
fanno del Sars-Cov-2/Covid per “spiegare” perché alcuni hanno mostrato sintomi e
altri no).
Ben diversamente, nel caso ad
esempio del bimbo con la detta “ipoacusia congenita” siamo di fronte a un
qualcosa del genere: l'organismo è "incagliato" in un assetto
percettivo (di cui sarebbe interessante occuparsi), a cui sono associate
frequenze di lavoro che si trasducono (struttura=funzione) nella sospensione,
ad es., della produzione di una proteina ed il concomitante silenziamento /
modifica del gene che per essa codifica (come nel caso dell'otoferlina).
Pertanto, quando somministriamo quelle sequenze geniche in situ, offriamo
all'organismo pacchetti in primis vibratori associati proprio alla
configurazione in cui esso produce quella proteina in quel tessuto, ed è cioè fuori
da quella fisiologia (ad es. da “attivazione biologica”) che ha comunque un
costo termodinamico ed è una risposta a condizioni percettive molto precoci.
Questo potrebbe essere lo
stesso principio di fondo dei rimedi cosiddetti "vibrazionali"
(omeopatici, fiori di Bach, spagiria, campi elettromagnetici, ma anche ipnosi,
e di tutti gli “spostamenti percettivi”) tale per cui si ha uno shift
oscillatorio dell’organismo, che può comportare anche il non riattivare più un
dato SBS anche a parità di configurazione d’esistenza.
Chiaramente, nulla che non
fosse parte della fisiologia agibile sensatamente dall'organismo, in senso
ripristinante l'omeostasi, potrebbe essere indotto "da fuori" (se non
delle reazioni, come un’intossicazione, oppure ogni processo è necessariamente una
risposta, da intendere quindi anche sul piano analogico,
semantico).
LA QUESTIONE DELLA CANDIDA CHE COMUNICA CON I LEUCOCITI
Mutatis
mutandis, in merito al dialogo esosomico tra simbionti e
organismi ospite (riportato nell'articolo di Mauro Sartorio): la candida nell’intestino, per fare un esempio, non è “ALTRO
da noi” o “altro” dalle cellule "immunitarie", in quanto parte del
sistema vivente possibile ed attuabile solo come “zoo ambulante” in accordo
alla 4° Legge Biologica. Pertanto, non sarebbe veritiera una lettura secondo
cui un sistema immunitario non si attivi contro il fungo “perché, cioè ‘per
causa’ del fatto che, quest’ultimo stia mandando vescicole contenenti materiale
genetico fornente l’istruzione di non ‘attaccare’…”, ma perché il tutto
lì (candida, leucociti, mucosa endodermica, l'organismo intero) ha una precisa
configurazione elettrodinamica, esprimentesi con frequenze di lavoro e
conseguente biochimica e fisiologia (tra cui la produzione di vescicole ed
esosomi, etichettati a volte come “virus”) che si modulano ed evolvono nelle
varie fasi dell'SBS, contestualmente a come cambia la condizione
neurovegetativa (ergo: a come cambia l’oscillazione, il “sentito viscerale”).
In conclusione, non possiamo
leggere questi studi senza esser vigili in merito al fatto che – soprattutto
nel mondo della ricerca a livello microscopico – possano essere scritte a valle
di grossi bias teoretici (come il pensare che il genoma “causi” la
fisiologia e non il corretto viceversa, o il non considerare che un virus non è
un "soggetto agente" e che quindi non ha nessuno scopo, bisogno,
tensione a replicarsi, così come non ce l’ha un pezzo di legno); e a valle di grossi
bias sul piano metodologico e sperimentale (come il non considerare il
vissuto del soggetto in questione).
A voi ulteriori possibili riflessioni….