Affaticamento digitale e malesseri da tecnologia - Introduzione

Mauro Sartorio
5 minuti di lettura
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Questa è la prima parte introduttiva all'articolo successivo: Perché hai occhi affaticati e malesseri quando usi lo smartphone - PARTE 2

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Premessa: ho lavorato a lungo nel settore della tecnologia e anche in quello della musica, potrei dire anche molto prima di entrare nel mondo del lavoro: ciò naturalmente influenza la mia attuale visione del mondo, anche della psiche e dell’essere umano, e viceversa la mia concezione di psiche e di essere umano influenza il mio approccio alla tecnologia e alla musica.

Ciò è normale, ognuno è fatto delle proprie esperienze ma, senza ingarbugliare oltre le cose, dico questo giusto perché voglio introdurre l’argomento: i pro e i contro di certa tecnologia, sotto il mio punto di vista, quando questa inventa prodotti fatti di stratagemmi per ingannare il cervello.

Non mi riferisco a niente di diabolico, ma a idee effettivamente utili: a partire dal cinematografo, che proiettando in successione rapida delle immagini, dà l’illusione del movimento. Un esempio certamente noto a tutti, che da bambini facevamo i cartoni animati con i fogli di quaderno o con i blocchetti di post-it.

Bellissimo. E pensare che da questa invenzione di fine ‘800 è nata la scuola psicologica della Gestalt, perché con l'illusione cinematografica si è cominciato ad intuire che sensazione e percezione sono due cose distinte: cioè una cosa è ciò che i sensi recepiscono (un flusso di immagini statiche), un’altra è ciò che la coscienza percepisce (un movimento).

A quell'epoca si scopriva quindi che c’è un qualcosa tra il mondo e la coscienza, che elabora, non si sa bene come, gli stimoli sensoriali.
E questo è un tema che ci interessa da vicino in ambito 5 Leggi Biologiche: il percepito, soggettivo, elaborato da qualcosa che chiamiamo psiche, è molto diverso dagli stimoli grezzi e oggettivi che i sensi ricevono dall’ambiente.

LA COMPRESSIONE MUSICALE

Ora facciamo un salto agli anni 80, quando al Fraunhofer-Institut il Motion Picture Expert Group ha cominciato a lavorare con la psicoacustica per inventarsi il famosissimo MP3 (1987), formato di compressione musicale che oggi conosciamo tutti.

Cosa significa compressione? Che da una traccia audio si eliminano alcuni suoni, per esempio quelli molto bassi di volume (come un piccolo campanello), frequenze non udibili, riverberi e insomma tutte quelle informazioni che sono registrate nel disco ma che si suppone l'orecchio umano non possa percepire… o meglio, che la psiche non possa percepire. Perché, come abbiamo detto, gli stimoli grezzi arrivano tutti a premere sul timpano, ma la “percezione” fa una selezione e ricrea un campo sonoro illusorio, proprio come accade con il movimento del cinematografo.
La psicoacustica ha anche scoperto che la psiche fa qualcosa di più: ricostruisce suoni che presume debbano esserci ma in realtà l’orecchio non ha recepito, perché non c'erano proprio: anche questa capacità è sfruttata nel processo di compressione.

In sostanza, sfruttando queste facoltà mentali, gli inventori dell’MP3 hanno potuto ridurre di molto la quantità di dati sonori che sono incisi nei dischi, aprendo alla rivoluzione della distribuzione mediatica digitale.
Poi questo è stato fatto anche con il senso della vista, creando i numerosi formati di compressione video (come MP4) che oggi ci permettono di godere di montagne di filmati a distanza su dispositivi di ogni genere.

LO SFORZO CEREBRALE CON IL DIGITALE

Ma andiamo al punto della questione: il "raggiro sensoriale" è una furbata geniale, molto utile ed efficace, tuttavia quasi nessuno si è preoccupato delle conseguenze di questa divergenza tra stimoli e fronte percettivo, che la psiche è costretta a colmare.
Infatti il processo non è gratis ma richiede uno sforzo. E più la compressione è forte (cioè tanti dati sono stati eliminati), più lo sforzo di ricostruzione del fronte percettivo è grande.

Lo sanno bene gli audiofili esoterici, cioè coloro che cercano la perfezione nella riproduzione sonora: anche se non sembra, la mutilazione dei dati musicali compressi provoca distorsioni, artefatti e un grave calo di qualità; non solo, un orecchio consapevole percepisce chiaramente la fatica di dover ricevere un suono manipolato e storpiato. Non a caso queste persone restano aggrappate finché possono ai riproduttori analogici, che non operano alcuna manipolazione del segnale, ripreso in studio o in sala concerto.

Il fatto è che oggi l’umanità non si accorge che sta facendo uno sforzo quotidiano, per quanto infinitesimale, ogni volta che ascolta o osserva un prodotto digitale. Siamo sempre più lontani dall'ascolto di uno strumento musicale, di un canto dal vivo o dalla visione di un’opera teatrale (oggi ci sarà chi nemmeno ne ha mai avuto occasione).

Forse alcuni, leggendo ora queste righe, si daranno spiegazione del perché si sentono affaticati dopo avere ascoltato a lungo musica digitale. Ma ovviamente questo lo può capire solo chi ha fatto esperienza di musica analogica.

È pur vero che i formati di compressione sono in continuo miglioramento, che gli streaming hanno bande sempre più larghe, che esistono formati senza perdita di qualità e che in fondo non si tratta di un grave problema.
Ma qui è importante che focalizziamo l’attenzione sull’enorme divario tra percezione - che è il processo di razionalizzazione degli stimoli sensoriali in un fronte percettivo ordinato - e gli stimoli grezzi che i sensi ricevono - che sono tutti, ma proprio tutti quelli presenti nell’ambiente, di qualunque forma e intensità, anche se non sono registrati dalla coscienza.

Apriamo qui una breve parentesi significativa per le 5 Leggi Biologiche: i binari sono condizionamenti sensoriali che si attivano sugli stimoli grezzi di cui non si è minimamente consapevoli!

Questa introduzione mi serve ora per proseguire oltre e fare emergere un problema tecnologico attuale, molto più grave, dannoso per la salute, di cui siamo tutti vittime senza averne la minima consapevolezza:

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