Il trattamento del dolore cronico: il dolore è un'altra cosa.

Mauro Sartorio
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La notizia:

La difficile sfida al dolore cronico “Bisogna investire sulla ricerca”

Il disturbo affligge un europeo su cinque e ha pesanti riflessi sul lavoro. A Firenze il congresso Efic: «Curando la sofferenza si aumenta la produttività»
Fonte: La Stampa

Mettendo da parte il triste ricorso all'economia per giustificare l'approfondimento su temi di salute (e che la dice lunga sull'idea odierna di sanità), ecco una notizia sul dolore cronico che porta alla luce il punto di vista ribaltato dell'industrializzazione della medicina.
Il dolore viene trattato come un'entità nosografica a sè, da debellare come un virus con un vaccino.
Trattamento del dolore cronicoChe è come cercare di spegnere un fuoco, cercando di allontanare il calore che emette soffiandoci sopra.

In effetti accademicamente, quando si parla di trattamento del dolore cronico, ci si riferisce a sostanze in grado di tagliare la sensibilità del cervello rispetto alla sensazione fisica, come i farmaci oppiacei che sono in grado di eliminare il segnale nervoso dei recettori del dolore.

Ma è chiaro che il dolore è solo la conseguenza di un processo sui diversi tipi di tessuto che compongono il nostro corpo, per effetto dello stiramento, compressione, trazione del tessuto stesso, condizioni che attivano i recettori del dolore.
La maggioranza dei dolori intensi sono di origine mesodermica della sostanza bianca, ovvero hanno a che fare con ossa e muscoli.
Ora, se il corpo è in una fase di riparazione dei tessuti con relativi edemi, il gonfiore certamente fa compressione e attiva i recettori, così noi sentiamo male.
Biologicamente il senso è evidente: il corpo dice "stai fermo, non muovere quella parte che sto lavorando, lasciami finire, grazie".
Come un cane che si ferisce a una zampa, quello che fa è riposare in un angolo finchè la ferita non sia guarita e la funzione dell'arto totalmente ripristinata.

È un ciclo naturale, sempre verificabile:
trauma --> dolore --> riposo --> riparazione dei tessuti --> ripristino della funzione dell'organo.

IL DOLORE CRONICO

Cosa succede se invece lo stesso trauma lo ripetiamo per un periodo prolungato senza lasciare il tempo all'organismo di ripararsi?
Proprio questo è il caso del dolore cronico, situazione in cui l'organismo si trova in fase di riparazione del tessuto danneggiato, ma viene interrotto ripetutamente da piccoli o grandi traumi dello stesso tenore, per cui è come se dovesse ricominciare ogni volta da capo.


L'organismo è estremamente paziente e intelligente, e fa il lavoro con grande zelo. Ma ogni volta il segnale "stai fermo sto lavorando grazie" sarà sempre più forte, perchè il danno sarà sempre maggiore, e non si fermerà fino a conclusione del processo di ripristino.

Questa abitudine a "picchiare la testa sempre contro lo stesso spigolo" la chiamiamo "fare recidive".
Così la persona che si trova a rigirarsi sempre nella stessa situazione conflittuale sperimenta facilmente il dolore cronico, e l'attitudine a fare recidive a tempo indeterminato è una caratteristica molto "sviluppata" nell'essere umano.


LE REAZIONI AL DOLORE CRONICO

Molto sviluppata è anche la capacità di anestetizzarsi, evitare di sentire ciò che non corrisponde a quello che mentalmente si prefigura: il dolore rientra perfettamente in questa categoria.
Non voler sentire il dolore, i segnali di lavoro in corso che il corpo invia, è il sistema migliore per intrappolare una quantità di energia fisica enorme (quella che serve allo sforzo per non-sentire) e non permetterle di liberarsi, conservando e perpetrando il dolore con una tenacia tale da saperlo fare per una vita intera.
Esattamente il contrario di quello che sarebbe logico per la vita stessa e di ciò che vorremmo.
Si finge che il dolore non ci sia, mentre il processo biologico c'è in tutta la sua concretezza e sta letteralmente facendo di tutto per salvarci.
Di conseguenza, ancor più faticosa e inefficace dell'evitare, è l'attitudine a "lottare contro il dolore".

Il dolore considerato come un male da combattere e sconfiggere è un luogo comune devastante nella nostra società, ma che certamente rende le cose facili ai venditori di scatolette.

Tutto questo non significa che quando sentiamo il dolore non possiamo assumere qualcosa che lo lenisca e ci faccia vivere più leggeri, ma questo è vero solo se siamo nel contempo disposti a fare qualcosa di diverso nella nostra vita che consenta al processo di ripristino biologico di chiudere il suo ciclo.
Spesso invece si preferisce continuare a picchiare la testa sullo stesso spigolo, prendendo ogni volta un medicamento per ridurre il dolore, utile nell'attesa che, fatalmente, la testa si spacchi a metà.
Effettivamente il taglio del dolore, anche chimico, è molto utile in alcune situazioni di urgenza, ma sortisce l'effetto contrario a quello voluto quando diventa il pretesto per evitare di affrontare il proprio abisso.

L'idea ossessiva del dolore come nemico va indubbiamente abbandonata, e se questo non è minimamente sufficiente a risolvere le cose, per lo meno può mettere in una posizione più aperta e di fiducia nei confronti del proprio corpo e dei suoi meccanismi naturali.
Per questo motivo biasimo fortemente la comunicazione che tratta il dolore come una "malattia" da combattere e sconfiggere.

Il dolore è invece una grande risorsa a cui va concesso diritto di cittadinanza, e fortunatamente oggi qualcuno inizia a guardare a questa forza con rispetto.

D'altra parte il dolore, come la paura, è una colonna portante della vita, e il non volere sentire il dolore (fisico ed emotivo) ha un unico rimedio davvero sicuro e definitivo:
"La completa libertà dallo stress è la morte" Hans Selye


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