Il metodo scientifico che rischia di non essere scientifico, specie in medicina.

Mauro Sartorio
Come è possibile che gli studi scientifici in medicina si contraddicano così frequentemente?
Ciò che è scientifico non dovrebbe essere verificabile e sempre riproducibile?

Il metodo, per essere genuinamente scientifico, deve essere anzitutto rigoroso ma in questo rigore essere massimamente flessibile: infatti, una teoria non è mai definitiva ma è suscettibile di modifiche e sostituzioni, nel momento in cui venissero alla luce nuovi aspetti non ancora considerati.
Richiede quindi una ricerca sistematica di informazioni e un continuo controllo per verificare se le idee preesistenti sono ancora supportate dalle nuove informazioni.
Se i nuovi elementi non supportano l'ipotesi, lo scienziato scarta o modifica l'idea originaria.

Ciò che accade oggi è che molto spesso lo studio clinico sottende, più o meno implicitamente e anche con tutte le buone intenzioni, uno scopo di applicabilità commerciale, che forza i dati empirici ad adattarsi nella direzione di dimostrare qualcosa.

In questo modo il metodo perde il suo valore critico e obiettivo, generando comunque assiomi su cui la comunità scientifica costruisce le proprie conoscenze (un esempio eclatante di assioma è, in oncologia, l'ipotesi sulla metastasi dei tumori).
Spesso, anche la più animosa diatriba fondata su dati scientifici, rischia di fare affidamento su qualcosa che scientifico non è.

Per questi motivi la trasparenza e l'indipendenza degli studi clinici, oggi grandi assenti (All Trials), sono condizioni imprescindibili per permettere alla medicina di evolvere, di abbandonare falsi miti granitici e di limitare quel protezionismo dell'ordine costituito che, quando non è guidato dal solo rigore razionale, ostacola l'acquisizione di nuove informazioni e quindi l'apertura di nuovi orizzonti.

Quali sono dunque alcuni di quei diffusi artifici che, attraverso la ricerca scientifica, possono distorcere le conoscenze fondanti la medicina moderna?
Ce lo spiega Paolo Bruzzi, Direttore del Dipartimento di Epidemiologia e Prevenzione dell'Istituto Nazionale per la Ricerca sul Cancro di Genova.

"Sul piano formale sono studi molto ben fatti, sono studi di una qualità statistica e metodologica sicuramente ottimale, e anche sul piano della conduzione hanno controlli di qualità sicuramente superiori rispetto a quelli che ci possiamo permettere nei trial non sponsorizzati.
Hanno però dei problemi che derivano dal fatto che sono finalizzati alla dimostrazione di una differenza statisticamente significativa a favore del trattamento sperimentale, e per fare questo adottano una serie di trucchi che non alterano la correttezza formale e anche la veridicità dei risultati, ma li presentano in una maniera distorta.


Innanzitutto vengono fatti dei trial sovradimensionati rispetto alla necessità di dimostrare la presenza di un beneficio clinicamente rilevante, in modo che per fini esclusivamente statistici, differenze anche di piccole dimensioni risultino significative. 

In secondo luogo vengono utilizzati molto spesso end-point alternativi rispetto alla durata della sopravvivenza o alla guarigione [vedi un esempio in cui un end-point (traguardo) alternativo può distorcere i risultati - NdR], che sono il tempo a recidiva o il tempo a progressione, che in qualche maniera massimizzano la differenza tra i due bracci di trattamento e permettono di ottenere dei risultati molto più precocemente.

In terzo luogo fanno spesso, anzi direi quasi sempre, affidamento su analisi precoci, le cosiddette analisi ad interim, che sono delle analisi che, anzitutto per motivi statistici, tendono a produrre una sovrastima dell'efficacia del trattamento, ma c'è anche un altro fenomeno: molti di questi farmaci hanno dimostrato di essere attivi nell'ambito degli studi di fase 2 o in altri stadi della stessa malattia, per cui si è ragionevolmente sicuri che un beneficio a breve termine sia presente, ma il problema è che, se io interrompo precocemente lo studio, potrò osservare solo questo effetto a breve termine, e grazie al cross over successivo non sarò in grado di osservare differenze a lungo termine, sia in termini di esiti più importanti per il paziente come la guarigione, e anche in termini di tossicità a lungo termine.

Non ci sono artifici statistici che permettano di contrastare questi artifici. 
Ci dovrebbe essere una maggiore vigilanza da parte delle agenzie regolatorie sulla rilevanza clinica dei risultati, e probabilmente sarebbe importante che ci fosse una maggiore partecipazione da parte dei pazienti e da parte dei sistemi sanitari nella gestione, e soprattutto nella pianificazione, di questi studi."