Epatite C - Quando il farmaco è super, nessuno si chiede se funziona

Mauro Sartorio
10 minuti di lettura
In questi mesi assistiamo alla feroce polemica pubblica intorno agli stanziamenti per l'acquisto del Sovaldi, il miracoloso nuovo super-farmaco per l'epatite C.
Si ritiene che i fondi pubblici dovrebbero essere i più generosi possibili perchè, a causa del costo "principesco" del medicinale (75.000€ un ciclo completo, poi contrattato, pare, a 45.000€), non è possibile fornirlo a tutti coloro che ne avrebbero bisogno.

Con la legge di stabilità, in Italia abbiamo quindi deciso di stanziare un miliardo di euro in due anni per l'acquisto del Sovaldi (fonte Repubblica)
Sono state fatte interrogazioni parlamentari sulla discriminazione che si compie nel fornire il farmaco selettivamente solo ai casi ritenuti più gravi; si è discusso impetuosamente sui contratti tenuti sotto segreto dalle industrie; ci si è indignati sulla differenza dei costi da una nazione all'altra (900$ per ciclo completo in India, ma recentemente molto meno).
Abbiamo visto pazienti asintomatici che, esclusi dalla fornitura da parte del Servizio Sanitario Nazionale, hanno sacrificato tutti i loro risparmi per poter accedere alle cure (il caso: "per curare l'epatite ho pagato 134.000 euro").
Si sono attivate le procure per indagare sulla distribuzione negli ospedali, geograficamente poco uniforme, e spuntano ipotesi di lesioni colpose per omissione di cure, anche a causa del costo che esclude numerosi pazienti.
Le cure sono un diritto.

Eppure...
Sembra che nessuno abbia l'ardire di porsi la domanda a monte, che sarebbe alla base di qualsiasi logica razionale.

Il farmaco Sovaldi della azienda Gilead: funziona?
Se sì, in quali casi è efficace e chi lo afferma?
Inoltre, come fa a dirlo?

Se si presta attenzione alle notizie che riguardano il Sovaldi, non si trova articolo di giornale, anche dei più accreditati, che non si abbandoni ad affermazioni categoriche e trionfanti come "il farmaco salvavite", "il farmaco miracoloso" che "porterà già sul medio periodo al pareggio dei costi che il SSN sostiene per le terapie tradizionali"...
Allora, se possiamo ostentare apertamente tanta sicurezza, significa che il Sovaldi merita davvero una allocazione colossale di risorse pubbliche.

Certo, a qualche lettore sarà balzato in mente il rischio, anche minimo, di rivedere un copione purtroppo già noto.
Non può infatti sfuggire alla memoria il caso scandaloso dell'azienda Roche, la quale solo pochi mesi fa è stata accusata di avere venduto ai governi di tutto il mondo, per corrisposti miliardi di euro, il suo farmaco antivirale TAMIFLU, sulla base di studi clinici che si sono rivelati manipolati.
Questa volta i governi avranno certamente controllato cosa stanno comprando.

In effetti, durante gli scorsi mesi, non pochi enti indipendenti hanno voluto essere molto più minuziosi e più prudenti delle istituzioni.
Ciononostante, la forte turbolenza mediatica, generata da una pressante aspettativa popolare e dal marketing aggressivo della Gilead, ha oscurato le perplessità sollevate.

LE PERPLESSITÀ

Quali perplessità sono state sollevate sul sofosbuvir (chiamato Sovaldi dalla Gilead) e quali sono le evidenze scientifiche che ne provano l'efficacia?
Per rispondere a questa domanda largamente trascurata, riporto le conclusioni di un lavoro di revisione straordinario di Nino Cartabellotta, presidente della fondazione Gimbe, straordinario principalmente per la lucidità e l'impostazione contro corrente.

"Il sofosbuvir costituisce una rilevante innovazione terapeutica, ma le evidenze disponibili documentano solo che il farmaco è efficace nel determinare una risposta virologica sostenuta in una percentuale che raggiunge il 90% in alcuni (ma non in tutti) sottogruppi di pazienti.

1) La storia naturale dell’epatite C e le prove di efficacia disponibili non giustificano in nessun contesto sanitario, indipendentemente dalla disponibilità di risorse, una policy che preveda il trattamento di tutti i pazienti con epatite C con l’obiettivo di prevenire l’evoluzione dell’epatite cronica in cirrosi, lo scompenso della cirrosi, lo sviluppo dell’epatocarcinoma, i trapianti di fegato e la mortalità.
2) In assenza di prove di efficacia dirette sulla capacità del sofosbuvir di rallentare l’evoluzione dell’epatite C verso forme avanzate di malattia, o di una robusta validazione dell’end-point surrogato SVR, scommettere sui potenziali risparmi per l’assistenza sanitaria è puramente speculativo e non supportato da alcun dato scientifico (25,26).
3) Assimilare la risposta virologica sostenuta nel singolo paziente alla eradicazione del virus dell’epatite C dalla popolazione è una suggestiva, ma inverosimile, strategia di sanità pubblica.
4) Considerato che la mortalità nei pazienti con epatite C è molto bassa e che nessuno studio ha dimostrato che il sofosbuvir riduce la mortalità, il termine “farmaco salvavita” è improprio e non dovrebbe più essere utilizzato.
5) Definire le priorità di trattamento in relazione alla costo-efficacia del sofosbuvir nei vari sottogruppi di pazienti rappresenta oggi l’unica soluzione accettabile dal punto di vista clinico, etico ed economico.
6) I dati relativi a tutti i pazienti trattati dovrebbero essere raccolti in maniera sistematica al fine di documentare l’efficacia e la sicurezza del farmaco nel mondo reale.
7) Tutti gli stakeholder che intervengono pubblicamente esaltando l’efficacia del sofosbuvir, oltre le evidenze disponibili, dovrebbero dichiarare gli eventuali conflitti di interesse finanziari e non finanziari."

Articolo di Nino Cartabellotta sotto licenza Creative Commons Attribution che ne consente l’utilizzo, la distribuzione e la riproduzione su qualsiasi supporto esclusivamente per fini non commerciali, a condizione di riportare sempre autore e citazione originale.


In sintesi (ma consiglio di approfondire il testo originale completo):
- Gli studi sul farmaco ad oggi sono stati compiuti esclusivamente dal produttore, con evidenti limiti metodologici (da segnalare che l'approvazione del farmaco ha seguito la procedura accelerata, introdotta da qualche anno nella regolamentazione per semplificare i criteri di sperimentazione su farmaci "molto promettenti").
- È stata sì documentata una risposta virologica che in certe condizioni raggiungerebbe il 90%, tuttavia non vi è alcuna evidenza scientifica che a questa risposta corrisponda un miglioramento degli esiti clinici.
Questo significa che potremmo anche trovarci di fronte a studi ineccepibili sul lato formale (a differenza della manipolazione dei dati da parte della Roche sul Tamiflu), che però sono stati costruiti in modo da restituire risultati molto positivi grazie alla scelta di un traguardo surrogato.
In altre parole, il nuovo super-farmaco funziona molto bene nell'abbattere la carica virale (traguardo surrogato), ma ad oggi non vi sono dati che indichino che tale abbattimento rallenti l'evoluzione dell'epatite o riduca la mortalità.
- Non sono stati studiati gli eventi avversi che restano ignoti.
- In base ai dati disponibili, l'uso del super-farmaco è in genere raccomandato nei casi di cirrosi e comunque nei casi di intolleranza all'interferone (tabella 2).
- La risposta virologica non garantisce l'eradicazione del virus nel sangue (nemmeno nel singolo individuo) perché resta sotto la soglia minima identificabile, e non permette di identificare la persistenza del virus nei tessuti.
- Inoltre la storia naturale dell'epatite C presuppone nella maggioranza dei casi un'evoluzione non pericolosa, che non giustifica il trattamento generalizzato su larga scala.

IL SUGGESTIVO MA INVEROSIMILE "OBIETTIVO ERADICAZIONE"

Su quest'ultimo punto, ovvero sulla suggestiva idea che si debbano fare controlli di massa per giungere al traguardo dell'eradicazione del virus (screening che l'azienda Gilead promuove fortemente), si è espresso di recente il BMJ con questo intervento, che riassumo nelle conclusioni:

"Se il trattamento dell' epatite C vuole essere destinato a coprire gran parte dei 125-150 milioni di persone infette in tutto il mondo, le agenzie di regolamentazione dovrebbero garantire che i farmaci siano valutati da un lungo periodo di follow-up sugli esiti clinici di diverse migliaia di pazienti, e non solo su marker surrogati (la risposta virologica NDR). 
Il costo finanziario dei trattamenti è stato discusso altrove; ma data l'incertezza della validità dei marcatori surrogati, data la assenza di prove per quanto riguarda i risultati clinici del trattamento e dati gli eventi avversi causati dai regimi più recenti, i controlli preventivi possono essere prematuri".

L'efficacia di un farmaco viene spesso valutata per la capacità di agire su certi marcatori biologici, anche quando non vi sia evidenza che gli stessi marcatori riflettano un aspetto causale della patologia.
Solitamente un marcatore dà un'indicazione di probabilità.
A volte, come per il famoso caso del PSA, può non esserci nemmeno correlazione tra il marcatore e il processo fisiologico.
Così un farmaco può essere considerato molto utile perchè riporta un certo indicatore nella norma: poi però accade, e non di rado, che le ricerche successive che indagano l'influenza del farmaco sulla vita reale e non più il marcatore biochimico, ne rivedano drasticamente l'efficacia, se non ne dimostrino addirittura la totale inutilità.
Tra gli esempi più recenti troviamo i farmaci che intervengono sulla colesterolemia, perché restiamo ancora senza prove evidenti che il controllo del colesterolo comporti benefici nella prevenzione di infarti e ictus.

UN OCCHIO SUL MODELLO 5LB

Grazie al nostro particolare e privilegiato punto di vista, sappiamo in partenza che un medicinale è buono ed efficace quando si dimostra in grado di tenere sotto controllo i sintomi e soprattutto gli eccessi debilitanti, quando cioè assolve alla sua funzione sintomatica.
Quando però si vocifera di un farmaco che pone rimedio non ai sintomi ma alle "cause della malattia", le antenne si alzano spontaneamente e di scatto perché, in ottica 5LB, si tratta di un assurdo concettuale che stride come le unghie sulla lavagna.

Il Sovaldi sembra aiutare nella gestione dei casi gravi nelle patologie del fegato, e questa è un'asserzione verosimile che col tempo sarà verificata sul campo.
Ma la deduzione seguente:

a) la risposta virologica data dal farmaco elimina il virus, quindi
b) l'eliminazione del virus previene l'evoluzione di malattie epatiche

non solo non è fondata su dati sperimentali, ma è contraddittoria perchè il controllo di un marcatore non influisce sulla eziologia del processo biologico.
In conseguenza di tale deduzione popolare ma fallace, ben rafforzata dalla grancassa mediatica, assistiamo ai viaggi della speranza verso l'India con l'obiettivo di debellare il virus.

D'altro canto non è da sottovalutare l'effetto molto positivo sulla vita di persone che hanno passato lunghi anni a portare il peso di un'etichetta diagnostica, spesso discriminatoria ed emarginante, che improvvisamente possono urlare al mondo "sono guarito!".
Date le conoscenze odierne della medicina, nel mio personale modo di vedere le cose questa "guarigione percettiva" può giustificare qualsiasi spesa pubblica.

UNA LEGGEREZZA POLITICA

Tuttavia ciò che sorprende nella vicenda è certamente la solerzia, per quanto possa scaturire dalle migliori intenzioni, nella approvazione di prodotti che non possono garantire per la salute delle persone né efficacia né sicurezza, perchè ad oggi mancano ancora dati sperimentali essenziali.
Sorprende l'atto di fede della politica nei confronti dell'industria, suggellato da stanziamenti di risorse immensi che sembrano approvati sulla base di un azzardo.
Sorprendono la fretta e la leggerezza con cui si fa informazione su prodotti "miracolosi", con grandi annunci che fanno leva sulle speranze, generano aspettative popolari insostenibili e fuori controllo, e fanno tornare alla mente le peggiori televendite.



Aggiornamento del 22-10-2015 sugli effetti avversi non del tutto studiati: la Food and Drug Administration lancia un allarme sul rischio di danni gravi al fegato in seguito al trattamento con i nuovi farmaci Viekira Pak e Technivie, prodotti concorrenti di Sovaldi e Harvoni.
http://www.fda.gov/Drugs/DrugSafety/ucm468634.htm

Aggiornamento del 19-04-2016 con alcuni studi sulle recidive tumorali.

Aggiornamento del 15-11-2016 sugli effetti reali e clinici degli antivirali e sulla resistenza e mutazione dei virus: "Gli esperti hanno messo in evidenza un elevato numero di fallimenti terapeutici di farmaci antivirali in pazienti con infezione cronica da virus di epatite C (HCV). Questi fallimenti sono imputabili allo sviluppo di varianti virali associate a resistenza." AMCLI

Aggiornamento 25-01-2017 - un report dell'istituzione no-profit Institute for Safe Medication Practices mette in guardia sulle segnalazioni raccolte dai medici: "i farmaci approvati negli scorsi anni per la cura dell'epatite C potrebbero avere gravi effetti collaterali, inclusa l'insufficienza epatica". Nuovi avvertimenti saranno aggiunti sulle confezioni.
Fonte: New York Times , ANSA

Aggiornamento aprile 2020: La Preventive Services Task Force americana ha aggiornato le proprie raccomandazioni sugli screening per l'HCV affidandosi alla presunta efficacia delle nuove terapie.
Da questo momento le linee guida raccomandano di estendere gli screening a tappeto per ogni adulto dai 18 anni ai 79. Fonte: USPSTF

Su questa base molti governi hanno avviato campagne di screening più o meno estese.
Come sono giunti a questa conclusione? Attraverso una revisione sistematica che, a guardare nel dettaglio, è costruita su alcune deduzioni logiche, comunque segnalate come limitazioni dagli stessi ricercatori:
- non esistono studi di efficacia dello screening in sé;
- i farmaci DAA sono studiati su traguardi surrogati (risposta virologica sostenuta) e non su reali esiti clinici, quindi l'evidenza che questi farmaci siano efficaci è limitata;
- per dedurne l'efficacia si è fatto affidamento in studi di coorte sulle vecchie terapie basate su interferone (2012), che rilevavano una correlazione tra il miglioramento della risposta virologica e una riduzione di rischio di morte.
Fonte: PubMed

Nonostante questo sillogismo sia preso a giustificazione per una campagna globale di eradicazione, le criticità che abbiamo esposto in questo articolo restano tali e quali. Teniamo sott'occhio la revisione Cochrane, se dovesse ricevere aggiornamenti nel tempo.
Un dato comunque importante è che apparentemente i DAA richiedono un tempo di cura inferiore e hanno effetti collaterali minori rispetto alle terapie precedenti basate su interferone.
Se questo sarà confermato anche sul lungo periodo, non può che migliorare gli esiti clinici e la vita dei pazienti.