I farmaci tornino ad essere strumenti di salute anziché beni di consumo

Mauro Sartorio
Il profitto economico a sostegno del progresso e della ricerca scientifica è sensato e, nella nostra odierna società, necessario oltre che efficace.
La struttura politico-sociale cui apparteniamo è costruita in un modo per cui solo i capitali finanziari sono capaci di muovere gli investimenti necessari allo sviluppo di molti ambiti della farmacologia.
Non che questo sistema non possa essere diverso ma, che ci piaccia o no, oggi funziona così.
Tuttavia, quando rimane solo il profitto a dettare le regole, è assodato che i propositi fondanti di un intero settore (quale quello sanitario) si snaturino definitivamente.

In un mondo che avesse acquisito e integrato le 5 Leggi Biologiche, non solo la nosografia si ridurrebbe ad una manciata di "etichette diagnostiche", ma certamente anche il numero dei farmaci e, di conseguenza, il giro di affari sarebbero una frazione di quelli odierni.

La forte pressione verso la finanziarizzazione di ogni settore della cosa pubblica, oggi sta esasperando l'attrito tra istituzioni sanitarie e industria, imbrigliate in inestricabili intrecci di conflitti di interesse.
Di seguito le considerazioni di Silvio Garattini, Direttore dell' IRCCS - Istituto di Ricerche Farmacologiche “Mario Negri” di Milano.
Testo in licenza CC-BY della rivista Evidence 2014;6(11): e1000093 doi:10.4470/E1000093

"Riallineare gli interessi dell’industria ai bisogni dei pazienti: missione (im)possibile?

La ricerca biomedica a cui partecipano in modo diverso gli Stati, le Charities e le industrie dovrebbe avere sempre lo stesso scopo: migliorare la diagnosi, la terapia e la riabilitazione per rispondere ai bisogni degli ammalati. Questo scopo è spesso disatteso perché l’industria deve fare profitti, spingendo a proporre prodotti che hanno il solo fine di alimentare un mercato per sua natura molto ricettivo.
Gli oltre tre trilioni di dollari, che rappresentano il mercato mondiale dei farmaci, non sono certo costituiti solo da prodotti indispensabili per la salute.
Anche in Italia un mercato che supera i 25 miliardi di euro, di cui circa 18 a carico del Servizio Sanitario Nazionale (SSN), è in gran parte rappresentato da un eccesso di prodotti di dubbia utilità e dall’utilizzo inappropriato.
Per riallineare gli interessi dell’industria ai bisogni dei pazienti e del SSN, è possibile proporre almeno tre linee di azione.

MODIFICHE LEGISLATIVE
Da 20 anni ormai sia la legislazione che le istituzioni preposte come l’EMA (European Medicines Agency) sono state molto influenzate dalla lobby farmaceutica.
Non vi è dubbio che le leggi e il modo in cui sono state redatte rappresentino obblighi per le autorità regolatorie. Ad esempio, la legge europea prescrive che i farmaci vengano approvati dall’EMA sulla base di tre caratteristiche: qualità, efficacia, sicurezza.
Le cose cambierebbero completamente se si aggiungesse il concetto di “valore terapeutico aggiunto”. Infatti oggi non è necessario dimostrare che un nuovo farmaco presenta dei vantaggi rispetto ai farmaci che già esistono sul mercato e perciò non sono necessari studi comparativi. Se questi studi fossero richiesti, il numero dei farmaci approvati sarebbe nettamente inferiore.

Il secondo aspetto riguarda la documentazione necessaria per ottenere l’approvazione di un nuovo farmaco, che viene prodotta esclusivamente dall’industria, un colossale conflitto di interessi che non esiste in altri campi.
Sarebbe necessario che almeno gli studi clinici di fase 3 fossero condotti da enti indipendenti per consentire alle autorità regolatorie di effettuare valutazioni non influenzate dagli interessi dell’industria che deve ottenere l’approvazione dei loro prodotti.

Un terzo aspetto riguarda la segretezza dei dati che, nonostante la disponibilità offerta dalla nuova Direttiva europea, stenta a trovare una corretta applicazione. Infatti, non si capisce per quale ragione si debba mantenere il segreto su dati che appartengono alla comunità dei pazienti che, generosamente e anche con qualche rischio, hanno prestato il loro consenso alle sperimentazioni cliniche. I dati utilizzati per ottenere la registrazione di un nuovo farmaco devono essere messi a disposizione - pur con le necessarie regole - di tutti coloro che hanno interesse a farne oggetto di ricerca e di valutazioni. [Confronta la campagna AllTrials, NDR]

Un quarto aspetto riguarda la possibilità che istituzioni di salute pubblica o enti di ricerca indipendenti - e non solo l’industria - propongano nuove indicazioni per un dato farmaco anche quando l’industria farmaceutica non è interessata a questo per ragioni di posizionamento del proprio prodotto nell’armamentario terapeutico.

Infine sono necessarie anche alcune modifiche legislative per quanto riguarda l’EMA [...]
Non è senza significato che l’EMA sia finanziata direttamente con i fondi dell’industria anziché dalla Commissione Europea!

NECESSITÀ DI RICERCA INDIPENDENTE
Il SSN dovrebbe sostenere maggiormente la ricerca come investimento essenziale per mantenere un livello efficiente nella sua attività e realizzare la forma più efficace di spending review. Sul piano organizzativo è indispensabile ripristinare il programma di ricerca indipendente dell’AIFA, sospeso pur continuando a ricevere l’imposta del 5% della spesa promozionale (eccetto i salari) dell’industria farmaceutica. Inoltre, occorre destinare alla ricerca sanitaria una quota del fondo sanitario nazionale di almeno il 3-5%: queste risorse dovrebbero sostenere gli studi che, pur necessari, non raccolgono l’interesse dell’industria farmaceutica. [...]

REGOLAMENTARE LA COLLABORAZIONE TRA ACCADEMIA E INDUSTRIA
Per ragioni economiche l’accademia spesso accetta in modo acritico i protocolli proposti dall’industria farmaceutica, limitando il suo ruolo al reclutamento dei pazienti.
È invece necessaria una maggiore partecipazione a tutte le fasi della sperimentazione: la collaborazione nella stesura dei protocolli, il monitoraggio e l’analisi dei dati, la pubblicazione di tutti i risultati positivi e negativi. Inoltre, è necessario l’accesso ai dati globali dello studio da parte dei partecipanti delle varie unità operative che contribuiscono a un determinato studio clinico controllato. Oggi la proprietà dei dati è nelle mani dell’industria, che spesso cura il reporting finale, mentre chi ha reclutato i pazienti non può esprimere un suo parere, non avendo la completa visione dei dati.

MIGLIORARE GLI STANDARD DEGLI STUDI CLINICI CONTROLLATI
Oggi nei trial clinici troppo spesso si utilizza come confronto il placebo, anche se esistono farmaci per la stessa indicazione, danneggiando in questo modo i pazienti;
raramente gli studi sono di superiorità perché si preferisce il disegno di non-inferiorità chiaramente di dubbia eticità;
la valutazione viene fatta attraverso parametri surrogati invece che mirare al miglioramento di parametri clinici quali la riduzione della morbilità o della mortalità e il miglioramento della qualità di vita. [Confronta l'articolo sulla commercializzazione dei "super-farmaci" per l'epatite, NDR]
Inoltre, considerato che gli studi clinici per loro stessa natura (piccolo numero di pazienti e breve durata) sono più adatti a stabilire i benefici piuttosto che i rischi dei farmaci, esiste la necessità di una farmacovigilanza attiva sulla popolazione per evidenziare in tempi rapidi le reazioni avverse dei farmaci.
L’accademia e, per le loro responsabilità, i comitati etici sono chiamati a un maggior impegno perché i farmaci tornino a essere strumenti di salute anziché beni di consumo."


Aggiornamento luglio 2019: "
nel 2018 il 98% degli anziani ha ricevuto almeno una prescrizione farmacologica, e sono state dispensate, ogni giorno e per ogni utilizzatore, oltre 3 dosi con una spesa di 656 euro pro capite."
Ancora Garattini: «Molti anziani prendono fino a 12-15 dosi di farmaci al giorno con un enorme numero di possibili interazioni e in assenza di studi che valutino l’impatto sulla salute e sui costi. Senza contare che sono troppi i farmaci in commercio con la stessa indicazione terapeutica e a prezzi enormemente difformi. Come gli anti-diabetici, che possono variare dai 96 euro della metformina (disponibile in ben 70 formulazioni) ai 1.711 euro del principio più caro per la stessa indicazione terapeutica. Idem per gli oncologici, i cui prezzi esosi, anche in questo caso estremamente variabili, sono spesso imputabili a fattori essenzialmente emotivi».

Invita inoltre alla diffusione tra i cittadini fin dai banchi di scuola di una «cultura del farmaco». Bene prezioso che però - afferma ancora Garattini - «sta diventando sempre più strumento di consumo che di salute. Il Servizio sanitario spende ben 22 miliardi per acquistare farmaci. Cioè il 20% della spesa pubblica totale. Un eccesso, a fronte di tutti i bisogni e gli impegni a cui il nostro Ssn, per altro in crisi di sostenibilità, deve fare fronte.»
Fonte: Il Sole 24 Ore


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