Covid19 non è un virus. É un fenomeno sociale

Mauro Sartorio
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Questa è un'esperienza che molti di noi hanno vissuto: ad una persona cara è diagnosticato un cancro e, di lì a poco (anche pochissimo), il suo stato di salute crolla, a volte fino alla morte. 
Sulla cartella clinica è scritto "cancro", ma noi abbiamo assistito ad un decadimento che non aveva niente a che fare con il tumore. 
La sua condizione psicofisica generale è degenerata improvvisamente, in una cascata inarrestabile a partire dallo shock per la diagnosi, proseguendo poi in una sovrapposizione di interventi terapeutici e sconvolgimenti nella vita quotidiana che hanno debilitato corpo e psiche, fino alle estreme conseguenze.
Il titolo è "cancro", ma in tutto questo processo l'anomalia di quel tessuto ha avuto evidentemente un ruolo marginale.

Il fenomeno del sovra-trattamento, cioè dei danni che conseguono ad un eccesso di cure, è ben noto in medicina ed è certamente trascurato: ma la prospettiva fondata sulle 5 Leggi Biologiche ci rende molto sensibili all'argomento, che qui può emergere in modo più lucido, chiaro e comprensibile.

COME PER L'INDIVIDUO, COSÌ LE COMUNITÀ

Allo stesso modo dell'esperienza di un individuo che attraversa la malattia, l'esperienza di una comunità che attraversa una pandemia ha risvolti molto molto più articolati rispetto alla percezione popolare, ingenua e superficiale, che considera come unica variabile di una pandemia un virus, e quindi anche l'unica causa di morte possibile
Non è così per un tumore, tanto meno lo è per un virus.
Potremmo dire che lo sconvolgimento che origina dallo shock da diagnosi collettivo, che poi si sviluppa nell'interventismo socio-sanitario finalizzato a debellare il maligno, costituisca un'entità complessa che, di per sé e in qualche misura, accresce cagionevolezza e mortalità nelle comunità (soprattutto quando l'intervento è scomposto e irrazionale, come è stato nei confronti di SarsCoV2).

È per questo che noi in 5LB Magazine, quando parliamo di tasso di mortalità di una pandemia, non ci riferiamo MAI ai dati statistici impersonali come se fossero l'espressione di una vescicola di RNA detta "virus" ma, in una visione sistemica, comprendiamo sempre nel quadro anche la reazione dell'organismo sociale, nella fattispecie il lockdown, e il circolo vizioso che si instaura nelle sue conseguenze sul piano fisico e psichico. 

Covid19 fenomeno sociale
Covid-19 non è quindi quell'RNA chiamato SarsCoV2. 
Covid19 è primariamente un fenomeno sociale, non riducibile ai singoli fattori che lo costituiscono, i quali si manifestano e agiscono solo quando sono compresenti.
Il virus, in questo quadro, diventa un fattore persino marginale.
Così come, per comprendere lo stato di salute di un paziente, la sua condizione psicofisica non è riducibile a quella piccola porzione di tessuto del corpo che è stata chiamata tumore.
Nella medicina di oggi, una tale visione sistemica, per quanto sia ragionevole e a tratti ovvia, devo dire sinceramente che non esiste.

Allora la sfida futura per una autentica comprensione di Covid19 sarà nel ponderare i reali effetti biologici di un RNA incapsulato (il SarsCoV2), mettendoli a confronto con il complesso reticolo di conseguenze psicosociali che si sono innescate in reazione ad esso.

I DANNI IATROGENI DI UN SOVRA-TRATTAMENTO SANITARIO COLLETTIVO

Durante la pandemia Covid19, molti studiosi hanno espresso dubbi sulla proporzionalità della reazione politica e mediatica alla stessa.
Tra le più autorevoli quella di John Ioannidis, epidemiologo di Stanford che negli anni si è distinto nell'ambito della Evidence Based Medicine.
Nell'ultimo periodo Ioannidis è finito sui giornali americani per il suo scetticismo nei confronti di uno stato di quarantena che ha sempre ritenuto pericoloso e non giustificato dai dati sperimentali.

In una recente intervista (luglio 2020), Ioannidis dice espressamente:
Molti dicevano che avremmo dovuto prepararci ad una calamità, e per molti versi ero d'accordo. 
Ma ero preoccupato che potessimo infliggere danni ingiustificati, quelli che chiamerei "danni iatrogeni", proprio nel tentativo di controllare la pandemia.

Ioannidis ripete più volte che non è mai stato contrario ideologicamente alla quarantena, ma che un lockdown totale della società deve essere considerato una misura estrema, che va ridotta al minimo e al minore tempo possibile. 
Il lockdown non è una strategia, come dice lui stesso è l'ultima risorsa, l'opzione nucleare. 
Poichè provoca distruzione fuori controllo, si tratta di una misura da attuare quando non si hanno strumenti a disposizione e dati su cui fare valutazioni.
Per questo Ioannidis ha sempre messo l'attenzione sulla priorità di una raccolta dati rapida ed affidabile.

Invece la politica mondiale, più o meno uniformata da direttive sovranazionali, si è trascinata in una chiusura della società indiscriminata e irrazionale, senza la benché minima valutazione del rapporto costi-benefici di tali decisioni politiche.
Il circolo vizioso della narrazione mediatica, che continua a retro-alimentarsi dipingendo una pandemia letale, ha distorto le cose spingendo la collettività (i cittadini ma anche i tecnici) ad una supina accettazione degli incalcolabili danni iatrogeni, come fossero inevitabili. 

John Ioannidis Covid19
Allora il "tasso di mortalità" non è un valore intrinseco dato dall'aggressività del virus SarsCoV2, ma è generato da un processo sociale chiamato Covid19 che, come dice Ioannidis, comprende 
le morti in eccesso di diversi gruppi: ad esempio le persone uccise dall'infezione da COVID-19, ma anche le persone che sono morte perché non hanno ricevuto cure tempestive perché avevano paura di andare in ospedale, o perché le risorse sanitarie erano concentrate sui pazienti COVID-19
La grandezza di quest'ultimo gruppo sarà più evidente negli anni a venire. 
Un altro gruppo sono i decessi causati dalle conseguenze sociali ed economiche del lockdown, come i suicidi e l'abuso di alcol e droghe. 
Questo numero, che sarà anche questo evidente negli anni a venire, non dovrebbe essere sottovalutato

I motivi contingenti che non hanno a che fare con il virus ma hanno spinto così in alto la mortalità nel periodo marzo-aprile 2020, li abbiamo raccolti in questo articolo
Questi motivi spiegano in parte anche perché in questa stessa estate 2020 la letalità del medesimo virus, nonostante sia estremamente più diffuso, è invece crollata ai minimi.

Oltre al danno di un lockdown protratto senza una visione strategica, Ioannidis mette anche l'accento sul fatto che si è trattata tutta la società indistintamente, come se ogni categoria di persone fosse ad alto rischio.
Cosa che non è, e non è mai stata fin dall'inizio.
Questo approccio emergenziale, assoluto e senza distinzioni, ha da una parte imprigionato chi non è mai stato a rischio (giovani e adulti), mentre ha decimato chi era più vulnerabile (anziani malati).
Trattare tutti alla stesso modo senza stratificare il rischio ("approccio a taglia unica") è stata in realtà una non-strategia, autodistruttiva.
Non a caso la devastazione ha colpito direttamente e incontestabilmente i più fragili nella popolazione: è incontestabile che più della metà dei decessi nel mondo sono accaduti nelle case di cura per anziani
Questo fatto ha evidentemente poco a che vedere con il virus, molto di più con la gestione dell'assistenza ai più fragili durante il caos della pandemia. 

LA DEVASTAZIONE DELLA MEDICINA DIFENSIVA IN MANO ALLA POLITICA

Immagina se un medico prescrivesse, a tutti i suoi pazienti, cicli illimitati di chemioterapia, indistintamente, senza nemmeno diagnosticare la patologia, senza valutare l'appropriatezza dell'intervento, senza valutare il profilo di rischio della singola persona.
Melius abundare quam deficere, direbbe questo strano medico, ma alla fine avrebbe ottenuto una strage indicibile.
Fuor di metafora questo è proprio ciò che è successo a livello globale nel Covid19, soprattutto perché la politica è pesantemente soggetta a giudizio e vittima di polarizzazioni ideologiche, tanto da essere costretta a comportamenti difensivi come l'eccesso di interventismo, che compiace l'elettore certamente più che un atteggiamento di immobilità.
Una siffatta politica che acquisisce poteri sanitari straordinari, degenera naturalmente nella più deleteria medicina difensiva, perchè strafare appare più popolare rispetto a fare meno.

L'intervista a Ioannidis è interessante, sia perchè è uno dei pochi commentatori lucidi ed equilibrati, sia per il piglio inquisitore dell'intervistatore che mette l'epidemiologo sotto pressione. Così ho fatto lo sforzo di tradurla e lasciarla a disposizione qui sotto.


In sostanza, discutere di statistiche sull'eccesso di mortalità per l'anno 2020 come se null'altro fosse accaduto se non la circolazione di un RNA chiamato virus, è una visione semplicistica, ingenua, irreale, grottesca.
Il titolo è "Covid19", ma in tutto questo processo il virus ha un ruolo marginale.
Non è forse vero che nessuno potrebbe permettersi di dire che quei nostri cari sono morti di cancro, solo perchè "cancro" era scritto sul referto della prima diagnosi? 
Quei nostri cari non sono morti di cancro: grande peso ha avuto invece quel complesso processo psico-fisico mentre attraversavano lo stato di "malattia", e gli inevitabili effetti iatrogeni sono stati un fattore preponderante.

Lo diciamo fin dal primo periodo di questo fenomeno sociale: i motivi per cui ci sono stati così tanti morti nella primavera 2020 non riguardano un virus: 



JOHN IOANNIDIS SPIEGA LA SUA VISIONE SUL COVID (intervista integrale)

Fonte: MedScape

Saurabh Jha (SJ): Il 17 marzo, all'inizio del blocco, hai scritto in STAT NEWS mettendoci in guardia sulla reazione esagerata a COVID-19. 
Hai paragonato la risposta alla pandemia a un elefante che salta accidentalmente da una scogliera perché è stato attaccato da un gatto domestico. 
Il blocco era appena iniziato. Cosa ti ha spinto a scrivere quell'editoriale?

John PA Ioannidis (JPA): marzo sembra un tempo molto lontano. 
Dovrei spiegare il mio pensiero durante i primi giorni della pandemia COVID-19. 
Come molti, ho visto avvicinarsi un treno. Come molti, non riuscivo a percepire le dimensioni e la velocità precise del treno. 
Molti dicevano che avremmo dovuto prepararci ad una calamità, e per molti versi ero d'accordo. Ma ero preoccupato che potessimo infliggere danni ingiustificati, quelli che chiamerei "danni iatrogeni", proprio con il tentato controllo della pandemia.

Per rispondere in modo specifico alla tua domanda, ho scritto il pezzo perché sentivo che il tasso di mortalità propagandato del 3,4% per COVID-19 era gonfiato, ma avevamo dati così limitati e così tanta incertezza che valori diversi per il tasso di letalità come 0,05% e 1 % erano chiaramente ancora possibili. 
Chiedevo dati migliori su COVID-19 per rendere la nostra risposta più precisa e proporzionata.

SJ: Ora sappiamo che il tasso di mortalità per infezione (IFR) è molto inferiore al 3,4%. 
Sono curioso: perché hai dubitato di questa cifra? 
All'epoca, il virus creò scompiglio in Iran e in Italia. Gli ospedali delle zone più ricche d'Italia razionavano i ventilatori. Un tasso di mortalità del 3,4% era così poco plausibile?

JPA: piccoli cambiamenti nel tasso di mortalità fanno una differenza drammatica nel numero di morti. 
Il 3,4% è un mondo completamente diverso dallo 0,5%. 
Gli epidemiologi dell'Imperial College , utilizzando un IFR complessivo dello 0,9%, presumevano che se il 60-80% della popolazione fosse stato infettato (come accadrebbe senza precauzioni e senza calcolare l'immunità) 2,2 milioni di americani sarebbero morti.

Sono un medico e un epidemiologo con una formazione in malattie infettive. Sebbene sentissi che COVID-19 fosse una seria minaccia, non pensavo che fosse il ritorno dell'influenza spagnola. 
COVID-19 non si comportava come una pandemia dal "tasso di mortalità del 3,4%". 
Dubitavo di quel tasso di mortalità ampiamente citato, che è ciò che le autorità sanitarie pubbliche cinesi hanno detto all'OMS, perché a marzo era evidente che l'infezione da COVID-19 comprendeva uno spettro clinico che andava dai sintomi lievi che potevano essere gestiti a casa, a una affezione grave dei polmoni che necessitava di supporto ventilatorio. 
Il pezzo cruciale del puzzle epidemiologico era il numero di persone che erano state infettate ma non sapevano di essere infette perché non avevano sintomi, o erano molto minimi.

La presenza di persone asintomatiche e lievemente sintomatiche che non vengono rilevate cambia la forma della pandemia e dovrebbe cambiare anche la nostra risposta ad essa. 
Per cominciare, significa che il tasso di letalità - (IFR) il tasso di mortalità tra gli infetti [anche asintomatici] - sarà, per definizione, inferiore al tasso di mortalità tra i casi - (CFR) il tasso di mortalità tra le persone sintomatiche note che vengono sottoposte al test.

La seconda implicazione è che l'infezione è più contagiosa e si è diffusa oltre quanto crediamo, il che rende più impegnativi i test, il monitoraggio e l'isolamento delle persone infette. 
I test rimangono importanti, ma ogni giorno che ritardiamo il lancio di test di massa, i test diventano meno efficaci e ancora di meno quando ci sono così tanti asintomatici o persone con sintomi lievi che non si sottopongono ai test.

Capire il vero IFR di un virus non è una insignificante riflessione accademica. 
Per essere chiari, distinguere tra IFR e CFR per un virus come l'Ebola è sciocco perché il suo CFR è di circa il 50%. 
Ma quando il CFR di un virus è inferiore al 5%, dobbiamo chiederci: qual è il vero IFR? 
Il CFR si discosta molto dall'IFR? Quanti sono i portatori asintomatici del virus?

SJ: Pochi potrebbero obiettare che dati migliori siano importanti. 
Ma le decisioni devono essere prese con i dati che abbiamo piuttosto che con i dati che vorremmo avere. 
Le conseguenze di un ritardo nell'agire perché aspettiamo dati migliori possono solo essere ipotizzate, piuttosto che dimostrate, al momento. Tuttavia la non-azione ha delle conseguenze. 
Alcuni hanno ritenuto che stavi sostenendo che non avresti fatto nulla durante la pandemia fino a quando non si fossero ottenuti dati sufficientemente solidi per decidere una politica.

JPA: Non era la mia posizione, anche se posso capire perché la gente pensava che stessi sostenendo la non-azione, quando in realtà stavo chiedendo, e in realtà implorando, dati migliori per dare un fondamento alle nostre azioni. 
Le due cose - decisioni e conoscenza - non si escludono a vicenda. 
Possiamo progettare una strategia politica su informazioni imperfette ma continuare a raccogliere prove in modo che il nostro approccio sia continuamente perfezionato. 
Una decisione come un lockdown economico dovrebbe essere considerata provvisoria, in attesa di ulteriori ricerche e migliori informazioni. 
Ovviamente, all'inizio non possiamo sapere tutto quello che c'è da sapere su un nuovo virus. La non-azione è una falsa scelta. 
Ciò che stiamo scegliendo è tra una decisione immutabile e una decisione che si aggiorna con le prove emergenti, piuttosto che tra la non-azione e la raccolta di prove.

SJ: Lascia che te lo chieda, francamente. Hai supportato il lockdown?

JPA: Lasciami rispondere, francamente. Sì. 
Ma solo come misura temporanea.

SJ: Quindi non sei contrario a bloccare l'economia?

JPA: A febbraio abbiamo perso il tempo utile per stroncare il nuovo coronavirus sul nascere. 
Se avessimo agito prima, con test aggressivi, tracciamento e isolamento, come hanno fatto i sudcoreani, i taiwanesi e i singaporiani, il virus non si sarebbe diffuso così selvaggiamente come ha fatto. 
La più grande lezione appresa da questa pandemia è che i costi per ritardare il controllo dell'infezione possono essere notevoli. 
Agisci con decisione in fretta o pentiti a tuo piacimento.
Una volta che abbiamo perso il treno, il blocco era inevitabile. 
Dico "inevitabile" a malincuore, perché non credo che avremmo dovuto raggiungere quell'eventualità.

SJ: La situazione sarebbe stata certamente diversa se l'entità della diffusione fosse stata identificata a gennaio e l'infezione fosse stata controllata. Se ti ho capito bene, vista la nostra situazione a marzo, per quanto evitabile, e il nostro stato di conoscenza in quel momento, hai sostenuto il lockdown.

JPA: È corretto.

Una volta che il paese è stato bloccato, ho ritenuto che avremmo dovuto concentrarci sulla riduzione al minimo della sua durata. 
Considero il lockdown come un farmaco con pericolosi effetti collaterali quando il suo uso è prolungato. 
È una misura estrema: l'ultima risorsa, l'opzione nucleare.
Un paese dovrebbe essere bloccato non un minuto in più del necessario. 
Dobbiamo continuare a valutare il suo rapporto rischio-beneficio, raccogliendo e analizzando i dati, assicurandoci di misurare accuratamente il denominatore e trovando sottogruppi vulnerabili e non vulnerabili.

SJ: Non intendo sembrare presuntuoso, ma quello che dici non è contraddittorio? 
Non credevi che COVID-19 fosse una pandemia del "tasso di mortalità del 3,4%", ma hai anche sostenuto il lockdown, che, giustamente, chiami una misura "estrema".

JPA: Se il tasso di mortalità fosse stato veramente del 3,4%, mi sarei legato come ha fatto Ulisse, forse al mio frigorifero per evitare di uscire di casa. Avrei voluto un lockdown ancora più severo. 
Una delle sfide nella comunicazione scientifica è declassare la minaccia di un'infezione, che ritieni sia gonfiata, senza farla sembrare innocua. 
Il fatto che non pensassi che COVID-19 fosse così pericoloso non significava che pensassi che fosse innocuo.

SJ: Ma hai paragonato COVID-19 all'influenza. Quel confronto ha infastidito molti medici, in particolare quelli in prima linea, che sentivano di essere presi per stupidi. 
I medici dalla Lombardia, di New York City (NYC), di Seattle stavano vedendo le terapie intensive stracolme, alti tassi di mortalità, insufficienze multiorgano e carenza di ventilatori. Erano sopraffatti. Non avevano mai visto una tale carneficina causata da un'infezione, non certo dall'influenza. Sicuramente, non abbiamo bisogno del denominatore per capire che COVID-19 non è solo un'influenza. Il numeratore parla da solo.

JPA: Quando parla di severità di un nuovo virus, è utile ancorarsi alle infezioni passate per metterlo in prospettiva. L'influenza stagionale è una scelta naturale per il confronto. 
Sono d'accordo che "è solo un'influenza" suoni sprezzante, persino offensivo per gli operatori sanitari, perché suona come il comune raffreddore. 
Anche l'influenza stagionale non è "solo influenza". In realtà uccide da 350.000 a 700.000 persone all'anno in tutto il mondo. Negli Stati Uniti uccide da 30.000 a 70.000 persone all'anno e ucciderebbe ancora di più se non vaccinassimo gli operatori sanitari e metà della popolazione.

Non penso che confrontare COVID-19 con l'influenza stagionale sia non scientifico, ma questo confronto deve essere sfaccettato. 
COVID-19 è una strana bestia. È molto più pericoloso dell'influenza negli anziani e in quelli con comorbidità. 
Eppure l'influenza stagionale è più pericolosa del COVID-19 nei bambini e nei giovani adulti, anche tenendo conto del fatto che COVID-19 possa causare una sindrome simile alla malattia di Kawasaki in alcuni bambini. 
Ancora una volta, dobbiamo affrontare una sfida di comunicazione: come possiamo trasmettere la gravità di un virus che è sia più pericoloso che meno pericoloso dell'influenza? 
Se enfatizzo le cose sul gruppo meno vulnerabile, sarò accusato di essere irriverente riguardo al virus. Tuttavia, se mi concentro solo sulla sua devastazione nel gruppo più vulnerabile, non sto dipingendo un'immagine vera della realtà.

Anche se ho fatto molti sforzi per definire l'IFR preciso di COVID-19, ogni singolo numero IFR è fuorviante, perché il tasso medio di mortalità nasconde l'eterogeneità del rischio. 
Una volta che abbiamo capito che il virus, in media, non è così grave come pensavamo, il passo successivo è identificare il rischio basso e quello alto, ovvero la stratificazione del rischio.

SJ: Voglio riprendere le statistiche sulla mortalità dell'influenza stagionale che hai citato, e che sono ampiamente citate, anche da Donald Trump, sebbene la sua fonte non sia una fake news ma il CDC. Queste cifre non sono una stima o una proiezione? 
E non è vero che le morti attribuibili a COVID-19 derivano invece da un conteggio diretto e meno da stime e, quindi, sono probabilmente più accurate?

JPA: È vero che la mortalità dell'influenza stagionale è una stima. Ma questa stima non è fantascienza. È derivata da solidi principi scientifici. I dati sull'influenza stagionale (malattie simil-influenzali) sono robusti. Sappiamo molto di più sull'influenza stagionale che su COVID-19.

Ora, il fatto che stiamo contando i morti direttamente, piuttosto che stimarli, è corretto. 
Ma respingo il fatto che questo produca dati sulla mortalità così tanto accurati, quanto pensano le persone. 
A causa dell'attenzione al coronavirus, siamo più bravi a sapere che una persona deceduta aveva il coronavirus piuttosto che [un'altra] influenza. 
Ciò significa che siamo bravi a sapere quando qualcuno è morto CON il coronavirus, ma non necessariamente che è morto a causa di quella infezione. 
Diamo per scontato che morire con il coronavirus significhi morire a causa del coronavirus.

SJ: Ma molti sono morti nelle loro case senza alcuna documentazione sullo stato dell'infezione. Abbiamo ipotizzato che morire senza il test per coronavirus significhi non essere morti di coronavirus. L'attribuzione errata delle morti al coronavirus funziona in entrambe le direzioni.

JPA: sono d'accordo. Ecco perché abbiamo bisogno di dati migliori per comprendere meglio questo virus. 
Un punto che voglio sottolineare: l'attribuzione errata è paradossalmente maggiore nel gruppo più vulnerabile al coronavirus, ovvero quelli con un'aspettativa di vita limitata. 
È molto probabile che questo gruppo muoia a causa di COVID-19. A causa della loro limitata aspettativa di vita, è probabile che questo gruppo muoia anche per le loro malattie che non sono COVID.

Un modo per misurare meglio l'impatto di COVID-19 è misurare le morti in eccesso, cioè il tasso di mortalità che va oltre quello che si registra solitamente ogni anno. 
Ma le morti in eccesso comprendono diversi gruppi: ad esempio le persone uccise dall'infezione da COVID-19, ma anche le persone che sono morte perché non hanno ricevuto cure tempestive perché avevano paura di andare in ospedale, o perché le risorse sanitarie erano concentrate sui pazienti COVID-19
La grandezza di quest'ultimo gruppo sarà più evidente negli anni a venire. 
Un altro gruppo sono i decessi causati dalle conseguenze sociali ed economiche del lockdown, come i suicidi e l'abuso di alcol e droghe. 
Questo numero, che sarà evidente anche negli anni a venire, non dovrebbe essere sottovalutato
A livello globale, le conseguenze della fame indotta dal lockdown, del deragliamento delle immunizzazioni per le malattie infantili letali e delle falle nella gestione della tubercolosi, sono minacce tremende.

SJ: Nel tuo editoriale hai detto che la maggior parte della mortalità del COVID-19 era nelle persone con un'aspettativa di vita limitata, piuttosto che nei giovani. 
Hai detto che “la stragrande maggioranza di questa ecatombe sarebbe costituita da persone con aspettative di vita limitate. A differenza della pandemia del 1918, quando morirono molti giovani”. Alcuni hanno pensato che stessi minimizzando l'importanza della vita degli anziani, cioè che le loro vite non valessero le conseguenze economiche del lockdown, perché sarebbero morti presto e comunque.

JPA: Questo è uno sfortunato travisamento della mia posizione.

C'è un gradiente della mortalità in COVID-19 che si riferisce all'età anagrafica. 
Questo fatto è stato dimostrato in diversi studi. 
Non solo c'è un gradiente di età, ma un punto di svolta ripido intorno ai 70 anni. 
Gli hazard ratio sono sorprendenti. L'età predice la mortalità meglio persino delle comorbidità. 
Questo fatto scientifico può essere facilmente sfruttato dai demagoghi, che epitetano le persone preoccupate per le conseguenze negative del lockdown "assassini senza cuore di nonni". 
Questo non è utile.

Il fatto che COVID-19 colpisca in modo sproporzionato gli anziani, ovvero che gli anziani siano più vulnerabili, significa che hanno bisogno di una protezione più precisa e ponderata. 
Ho chiesto di porre una maggiore attenzione e protezione per le persone anziane, non di meno.
Purtroppo non è quello che è successo. 
Ad esempio, Andrew Cuomo, governatore di New York, ha detto agli ospedali di rimandare gli infetti, residenti delle case di cura, nelle loro case di cura; il che è stato come spegnere un incendio in un bosco con il cherosene. Lo stesso è accaduto anche in altri stati. 
Questo atto da solo può aver causato innumerevoli morti tra i residenti delle case di cura. 
Abbiamo fallito nel proteggere i più vulnerabili, in parte a causa del nostro approccio a "taglia unica". 
In Lombardia si sono verificati decessi sproporzionati nelle case di cura. Si stima che il 45-53% dei decessi negli Stati Uniti riguardasse residenti in case di cura, e percentuali anche più alte sono state viste in Europa.

Avevamo bisogno di ulteriori sforzi precauzionali in ambienti ad alto rischio come le case di cura, le prigioni, gli impianti di lavorazione della carne e i rifugi per senzatetto. 
Il corollario del fatto che abbiamo gruppi ad alto rischio è che ci sono gruppi a basso rischio che possono continuare a lavorare. Non possiamo trattare tutti come "ad alto rischio", perché in tal caso l'alto rischio non può ottenere l'attenzione e le cure extra che merita. 
Nel nostro approccio al controllo del coronavirus non abbiamo fatto distinzione tra adolescenti che festeggiano sulle spiagge della Florida e residenti debilitati e fragili che vivono in case di cura congestionate a New York. 
L'approccio indifferenziato non è né scientifico né sicuro.
COVID-19 è un virus che smaschera i nostri punti deboli sociali ed economici.

SJ: Hai criticato i modelli matematici per aver utilizzato dati errati nella proiezione del bilancio delle vittime. 
Quando è iniziato il blocco c'erano solo 60 morti negli Stati Uniti. Hai previsto 10.000 morti utilizzando un IFR calcolato sui passeggeri infetti della nave da crociera Diamond Princess. 
Eppure oggi c'è più di 132000 morti - la cifra sarebbe stata probabilmente più alta se non fosse per il distanziamento sociale / lockdown che abbiamo cominciato dal 16 marzo. 
Sebbene i numeri siano ancora molto inferiori rispetto alle catastrofiche previsioni da giorno del giudizio dell'Imperial College, comunque rendono le tue proiezioni eccessivamente ottimistiche.

JPA: Non ho mai detto di sapere che il bilancio delle vittime sarebbe stato di 10.000 morti negli Stati Uniti. Come potevo, in un articolo in cui il messaggio era "noi non sappiamo"! 
Le 10.000 morti nella proiezione degli Stati Uniti dovevano essere nella gamma più ottimistica dello spettro e nello stesso articolo ho anche descritto l'estremità più pessimistica dello spettro, 40 milioni di morti. Il punto che volevo sottolineare era l'enorme incertezza.
Ora, è perfettamente ragionevole seguire il principio di precauzione sostenuto da Nassim Taleb e basare la nostra risposta sulla previsione del caso peggiore. Ma come scienziati non è ragionevole guardare in faccia un'enorme incertezza residua e non fare nulla al riguardo. Il nostro compito è ridurre l'incertezza raccogliendo dati più affidabili.

SJ: Hai calcolato l'IFR di COVID-19 utilizzando i tassi di mortalità pubblicati in vari contesti. Passeremo ai metodi più tardi. Per ora, voglio concentrarmi sul risultato. In base ai tuoi calcoli, l'IFR variava dallo 0,02 allo 0,86% con una stima mediana di 0,26. 
Prendiamo in considerazione un punto specifico: New York. Ci sono stati 18.000 morti. Anche supponendo che l'intera città, una popolazione di 8,3 milioni di abitanti, sia stata infettata - un forte presupposto - ciò produce un IFR di almeno lo 0,21%. Il limite più basso del tasso di mortalità di New York è molto più alto del limite più basso della tua stima. Questo fatto non mette in difficoltà il tuo calcolo e le ipotesi fatte?

JPA: IFR non è una proprietà fisica fissa come la costante di Avogadro. È molto variabile e dipende tanto dal virus quanto da noi. Forse dipende anche da noi più del virus. Dipende da come interagiamo gli uni con gli altri, quanto siamo vicini gli uni agli altri, chi viene infettato, chi si ammala. Poiché conosciamo meglio il virus, diventiamo più bravi a gestirlo. L'IFR è un bersaglio mobile che cambia forma.
Questo ora mi porta a New York. Certamente ha affrontato coraggiosamente l'infezione. 
Tuttavia né la sua esperienza né il suo IFR possono essere generalizzati. 
Almeno tre fattori hanno contribuito all'elevato numero di morti a New York
1- il numero sproporzionato di decessi nelle case di cura a causa di un errore politico catastrofico
2- la natura molto compatta della città, in particolare dove vivono le popolazioni vulnerabili
3- la diffusione nosocomiale dell'infezione. 
4- Inoltre, i medici stavano ancora imparando come gestire al meglio i pazienti in terapia intensiva e il loro approccio al supporto ventilatorio è stato probabilmente troppo aggressivo, col senno di poi. 
Non sto incolpando i dottori. New York ha passato dei brutti momenti.

SJ: Se l'IFR è un "bersaglio mobile che cambia forma", perché hai lavorato così duramente per misurarlo?

JPA: È ancora importante conoscere la media e la portata, in particolare se si desidera calcolare il rapporto rischi-benefici di diverse politiche in contesti diversi. 
Non possiamo semplicemente presumere che l'IFR di COVID-19 a New York in aprile sia lo stesso dell'IFR di Houston a luglio o l'IFR di Singapore ad aprile o a luglio. 
Alcuni focolai a New York devono aver avuto IFR dell'1% o più. 
Singapore ha già rilevato 43.000 casi e ha avuto solo 26 decessi, quindi il limite superiore del suo IFR è dello 0,06% e potrebbe essere ancora più piccolo. 
L'IFR di Houston a luglio è qualcosa che si spera di poter controllare e diminuire con azioni precise. Quando impariamo dalla storia, quando comprendiamo le circostanze del passato e ci assicuriamo di non ripetere gli errori, si spera che l'IFR non si ripeta.

Inoltre, ho mostrato nei miei metodi di calcolo dell'IFR l'enorme diversità dell'IFR a causa dell'ampia variazione nelle stime di sieroprevalenza. Non è importante solo il risultato finale, sono importanti anche i singoli componenti che compongono il numero finale.

SJ: Potresti approfondire sulla diffusione nosocomiale di COVID-19?

JPA: molti pazienti sono stati probabilmente infettati negli ospedali. Questa è comprensibilmente una questione controversa che le persone sono riluttanti ad affrontare.
Non conosciamo la scala esatta della diffusione nosocomiale, ma in diversi luoghi è probabile che il fatto non sia stato banale. 
Ciò è accaduto perché molti operatori sanitari, in particolare quelli minori di 60 anni, non avevano idea di essere stati infettati. 
Ancora una volta, ciò sottolinea quanto fosse importante comprendere l'entità degli asintomatici e delle persone con solo sintomi lievi a cui naturalmente non si è prestata attenzione. Hanno involontariamente e inconsapevolmente infettato i pazienti.
Come le case di cura, gli ospedali ospitano i più vulnerabili. 
Solo una manciata di operatori sanitari infetti inconsapevoli sarebbe stata sufficiente per consentire al virus di diffondersi tra i pazienti in ospedale. Ciò è accaduto in modo ancora più evidente all'inizio della pandemia, quando le misure precauzionali, come indossare dispositivi di protezione individuale, non erano universalmente adottate e non avevamo idea di quanto si fosse diffuso il coronavirus.
I decessi sono un indicatore ritardato dell'entità dell'infezione. Quando è stata registrata la prima morte per COVID-19 negli Stati Uniti, il virus aveva messo piede comodamente nella società americana. Credendo che il virus fosse più mortale di quanto non fosse in realtà, abbiamo sottostimato quanto si fosse diffuso e quindi abbiamo permesso al virus di essere più mortale di quanto non fosse necessario.

SJ: Hai ricevuto una notevole opposizione per il tuo pezzo. Hai cambiato la tua opinione sulla discussione accademica?

JPA: Apparire su Fox potrebbe aver fatto infuriare alcuni dei miei colleghi, ma questo parla della polarizzazione che c'è negli Stati Uniti. 
Io sono un tecnico che si basa sui dati. È improbabile che mi adatterei bene all' "ideologia conservatrice"!

Accolgo con favore la discussione accademica e il disaccordo. Non ho dubbi di sapere molto poco e di commettere errori, ma sto solo cercando di imparare un po' di più e di fare meno errori, se possibile. Ritengo che le persone che mi criticano con validi argomenti scientifici siano i miei più grandi benefattori. 
Ma l'indignazione propagata dai social media è una forza a sé stante che distrugge ogni discorso intelligente e civile. Una volta che l'indignazione inizia, le piattaforme censurano e la discussione semplicemente non avviene. 
Non sono stato in grado di pubblicare il mio saggio sulla diffusione del COVID-19 nelle case di cura e negli ospedali. L'ho presentato a molti punti vendita. Sospetto che gli editori temessero il contraccolpo dei social media contro il problema scomodo che sto sollevando. 
La paura non è salutare per la scienza.
Fonte: MedScape

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