In un articolo di qualche tempo fa spiegavo che noi tutti, nessuno escluso, anche il più esperto studioso di 5 Leggi Biologiche, fatichiamo penosamente a riconoscere i nostri propri conflitti.
Personalmente chiamo questo fenomeno "gabbia percettiva": l'avevo descritto nel libro Noi Siamo il Nostro Corpo e l'ho poi ripreso proprio in quell'articolo in 5LB Magazine che ti invito ad andare a rileggere: Perché fatico tanto a verificare i miei sintomi con le 5 Leggi Biologiche?
Voglio fare un paio di esempi semplici di ciò e verificabili da tutti: avrai visto quelle illusioni ottiche delle colonne bianche e nere, degli angeli e dei diavoli, della donna giovane e anziana... in un primo momento vedi una immagine, poi con un po' di sforzo riesci a vedere anche l'altra.
Non a caso sul tema abbiamo scritto fiumi di articoli in 5LB Magazine, una bellissima monografia cartacea dedicata (LE RECIDIVE) e...a costo di ripeterci, continueremo a scriverne e a parlarne.
In poche parole, gli schemi della nostra psiche ci inducono a vedere la realtà in modi predefiniti, rigidi, spesso conflittuali e difficili da cambiare. Questi schemi sono le sbarre della "gabbia percettiva".
Il motivo principale di tale rigidità risiede in un meccanismo di protezione che l'organismo adotta per evitare la paura, nell'ingannevole presentimento che il proprio piccolo mondo sia comodo e sicuro se resta sempre uguale, uguale a ciò che già si conosce.
In questo fenomeno gioca anche un meccanismo neurologico che favorisce la schematizzazione della realtà: recentemente è stato studiato da alcuni ricercatori che hanno pubblicato i loro risultati sul Journal of Neuroscience:
Per ottimizzare le sue prestazioni, il nostro cervello "costruisce la realtà, non le fa da specchio".[...] Quello che percepiamo, spesso non è una copia fedele di ciò che arriva ai nostri sensi, bensì una “rappresentazione” del mondo esterno. [...]Questo fenomeno è dovuto alla discrepanza tra le limitate risorse computazionali del cervello e la sovrabbondanza di stimoli che bombardano i nostri sensi. Questa distorsione percettiva o "bias" riflette il bisogno del cervello di trovare regolarità nel mondo esterno, rendendolo più prevedibile e così più facile da gestire.
Secondo l'interpretazione fornita dallo studio, si tratterebbe di un sistema di risparmio energetico, o comunque un modo che l'organismo adotta per gestire una quantità di informazioni altrimenti non gestibile.
Il risultato è che noi non percepiamo la realtà, ma percepiamo una ricostruzione della realtà composta da elementi che già conosciamo.
Lo diceva il famoso aforisma: "Noi non vediamo le cose come sono, vediamo le cose come siamo".
LA CONSAPEVOLEZZA
Ora qui a questo aforisma aggiungo un dettaglio: noi non vediamo le cose come sono, anche quando sappiamo come sono.
Detto in altre parole: anche se sei consapevole che le cose stanno in un certo modo, la tua percezione potrebbe scegliere di interpretarle nel suo schema preferito, per quanto sia disfunzionale.
Con un breve allenamento sarai in grado di passare dalla prima alla seconda con grande velocità, ma se la riguarderai tra un po' di tempo al primo istante il cervello ne vedrà solo una, benché tu sia consapevole di essere di fronte ad una illusione ottica.
Un altro esempio, comprensibile soprattutto dai musicisti: ti sarà capitato di ascoltare una canzone che comincia senza sezione ritmica e di inquadrare mentalmente il suo tempo in una certa maniera.
Improvvisamente entrano tutti gli strumenti e ti accorgi che quello che canticchiavi come "battere" era in realtà il "levare" e viceversa. Ti è cambiata tutta la percezione del brano, e ora ne sei consapevole.
Ti posso assicurare che, benché tu sia a conoscenza della reale metrica di quella canzone, la prossima volta tenderai comunque ad ascoltarla al contrario.
Propongo questi esempi per aiutare a comprendere il meccanismo percettivo, così da poter prestare attenzione poi a quelle situazioni della vita in cui siamo conflittualmente incastrati e, benché ne siamo consapevoli, non ne veniamo fuori.
E perché non ne veniamo fuori? Accade certamente sia a causa di questa tendenza a vedere il mondo non per come è ma per come già lo conosciamo, ma soprattutto perché - come ho spiegato nell'articolo precedente - uscire da questi schemi in genere significa essere costretti a toccare il proprio dolore più profondo, e questo sappiamo evitarlo anche a costo della vita.
Non che questa curiosa ostinazione della psiche sia necessariamente un male, infatti anch'essa ha un senso biologico... ma non è il caso di discuterne qui, lo farò altrove.
UN SALTO EVOLUTIVO
Il fatto è che ad un certo punto la rottura dello schema percettivo è richiesta dalla nostra evoluzione personale e sociale.
La vita chiede quel salto di ottava... ma domandare è lecito, rispondere è cortesia: noi siamo disponibili a rispondere alla richiesta?
Perché in genere siamo molto impegnati ad incasellare fatti e persone dentro una manciata di schemi noti, ci rigiriamo nelle solite ripetizioni e così alimentiamo i programmi biologici che fanno reagire l'organismo con sintomi cronici.
Infatti questa gabbia fa attrito contro la biologia, la quale scalcia come un cavallo nella stalla.
Ora grazie alle 5 Leggi Biologiche ognuno può più o meno inquadrare il proprio schema conflittuale, comprenderlo, osservare la gabbia in cui alloggia... ma quando ci avvitiamo nel sempre uguale anche se abbiamo capito che lo facciamo, quando fatichiamo a fare entrare il nuovo nel nostro orizzonte percettivo... cosa possiamo fare?
Come rompiamo lo schema?
Metodi standard e protocolli non ce ne sono.
Non puoi convincere la biologia a fare diverso, né esortandola gentilmente né forzandola con la violenza.
Puoi piuttosto agire in modo che nella tua personalissima realtà si creino delle condizioni affinché la percezione dell'organismo si sposti un po' in là, quanto basta.
È raro ma può accadere che chi, grazie alla comprensione di un proprio sintomo, riesce per la prima volta a vedere se stesso recitare nel film della vita, sia talmente folgorato dall'esperienza che, dal giorno dopo, cominci ad agire in modo diverso, consentendo alla biologia di stravolgere la percezione delle cose e interrompere le reazioni sintomatiche (recidive).
Questo è raro, ma può succedere.
Più di frequente facciamo persino fatica a guardare in faccia il nostro sintomo e a inquadrarlo nella nostra storia personale.
Quando ci riusciamo, nonostante tutta la consapevolezza, spesso preferiamo stare fermi sulla soglia della gabbia aperta. Infatti per sua natura quel piccolo movimento è sempre estremamente doloroso, almeno in apparenza.
In coscienza di ciò, tale attitudine non è né sbagliata né giudicabile, perché... chi è sinceramente pronto e disposto a fare il salto ORA?
Conscia o inconscia, è una scelta.
Anche "non guarire" è un diritto, come scrive Eleonora in un suo importante articolo di 5LB Magazine: a volte mantenere la "malattia" diventa una necessità che colma un bisogno profondo o lenisce una ferita.
Se ti senti in stallo sulla soglia della gabbia, immagina di dover superare la paura a guardare di sotto.
Significa che, ogni volta che di fronte alle cose che ti fanno più paura sarai tentato a girarti dall'altra parte, dovrai mantenere l'attenzione sulla soglia, permettendo la paura. Non scappare.
Studierai ripetutamente quello stato interiore, proprio come quando vuoi capire quella illusione ottica o quella strana canzone; allenerai la tua capacità di percepire le cose con significati nuovi.
Sai già che tenderai a reagire in quel solito modo, voltandoti, ma potrai guadagnare velocità nel recuperarti e riprendere la prospettiva; esercitando l'attenzione in questa permanenza, avrai occasioni per avvicinarti al dolore e poterlo contemplare; nel tempo si svilupperanno nuove abitudini, nuovi schemi; imparerai a riconoscere la reazione e a uscirne più rapidamente, come quando il cambio tra angeli e diavoli diventa un gioco di pochi secondi.
Da questo assiduo lavorio, come minimo la gabbia guadagnerà spazio e aria.
E chissà che l'organismo acquisisca più agio e minori necessità di reagire con sintomi fisici.
È ben probabile che questi concetti non siano comprensibili da tutti, se non se ne è fatta una qualche esperienza.
Chi approccia le 5 Leggi Biologiche al principio tende a credere che il "conflitto" sia qualcosa che capita, una sventura esterna alla quale l'organismo è chiamato a reagire.
Avrai ora compreso che nella realtà c'è un terreno personale, la propria gabbia percettiva, da cui tutto dipende ed è proprio quella a produrre "conflitto" con gli eventi.
Per questo nella pratica chi desidera integrare e applicare questa materia deve ribaltare lo sguardo dalla terza persona delle "cose come sono" alla prima persona delle "cose come siamo"... altrimenti l'ostacolo più duro e significativo, le recidive, non può che rimanere una incomprensione insormontabile.
Non a caso sul tema abbiamo scritto fiumi di articoli in 5LB Magazine, una bellissima monografia cartacea dedicata (LE RECIDIVE) e...a costo di ripeterci, continueremo a scriverne e a parlarne.
Correlato: 'Conflitto', percezione e storia personale