Malattie delle piante: la biodiversità è un'altra cosa

Mauro Sartorio
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Da qualche tempo stiamo affrontando l'applicazione delle 5 Leggi Biologiche nel regno vegetale.
Ciò non dovrebbe meravigliare, perché le 5LB sono una scoperta che rivoluziona la biologia in generale, ancora prima della medicina e della salute umana.

Allora dovremo metterci nell'ordine di idee che anche le piante continuano a riconfigurare il proprio organismo per mantenere l'omeostasi in relazione alla variabilità ambientale, grazie ad una percezione biologica che, a necessità, attiva proliferazioni e necrosi cellulari così come il coinvolgimento di microbi simbionti.

In questo scenario meravigliosamente sensato inquadreremo quindi ogni cosiddetta malattia delle piante, come è opportuno e imprescindibile nel nostro paradigma della salute.

Un passaggio che non è scontato riguarda la declinazione dei sentiti percettivi: per quale ragione un vegetale attiverebbe i suoi programmi biologici speciali (SBS)?

In questa sede possiamo fare delle supposizioni rudimentali in base a ciò che ognuno può osservare empiricamente:
  1. per conflitti di scarsa o eccessiva nutrizione, che riguardano il suolo così come l'esposizione al sole (omologo alle percezioni endodermiche di "boccone")
  2. per conflitti di aggressione da animali, eventi atmosferici... (omologo alle percezioni paleo-mesodermiche)
  3. per conflitti di competizione (omologo alle nostre percezioni neo-mesodermiche)
  4. per conflitti di isolamento dal proprio ecosistema (omologo alle nostre percezioni ectodermiche)
In generale si può assistere a reazioni diverse e variegate tra specie e specie, dalla proliferazione di masse, alla atrofia di alcuni settori dell'organismo fino al richiamo di funghi e batteri deputati a compiere necrosi e altri processi speciali.

LE MALATTIE DELLE PIANTE IN AMBIENTI ARTIFICIALI

Osserviamo questi fenomeni soprattutto nelle coltivazioni umane, dove: 
  • le piante sono trasportate (!) 
  • sono forzatamente piantumate in luoghi in cui non sarebbero mai nate spontaneamente; 
  • sono soggette a cambiamenti ambientali e climatici che risultano inadatti;
  • irrigazioni, temperature ed esposizioni solari sono allestite in modi e ritmi artificiali; 
  • gli ecosistemi sono letteralmente sventrati per ricreare ambienti monocolturali, comodi per l'industria alimentare ma inconcepibili in natura e perciò insostenibili.
A questi shock i vegetali reagiscono con i propri SBS, nel tentativo di compiere un adattamento.
A volte l'adattamento riesce, in un'altalena di malesseri, e l'uomo fa di tutto per ricreare condizioni ipoteticamente ideali.
Spesso l'ottimizzazione umana è efficace; in molti casi invece le condizioni sono ideali per l'uomo ma non per la pianta e allora, vivendo quest'ultima una condizione di squilibrio da cui non avrà grandi possibilità di spostarsi, il sistema tenderà alla eliminazione sensata dell'individuo.
È ciò a cui assistiamo quando una pianta messa a dimora improvvisamente "si ammala", non cresce e funghi di vario tipo iniziano a demolirla.

Ben inteso: il potere rigenerativo della vita è formidabile, si assiste ad adattamenti incredibili al limite dell'immaginazione.
L'uomo ha sfruttato questa forza ed è stato capace di addomesticare, accelerando certi adattamenti che nel tempo si sono fissati nel DNA dei vegetali e hanno portato al rapido sviluppo di nuove specie.

Ora però l'uomo affronta uno scoglio enorme, che è lo stesso che ostacola l'evoluzione della medicina: la sua concezione della salute è sottosopra.
La malattia - dell'uomo così anche delle piante - non è quello che crede, è un'altra cosa.

Quale potrà mai essere oggi, nell'odierna concezione di medicina, la reazione di fronte ad un'immensa monocoltura che cominci a manifestare sintomi di degrado, nella quale le piante si avvizziscono ed emergono funghi o parassiti?
La risposta è una e semplice: guerra farmacologica all'ignoto, sterilizzazione, antibiotici.
L'intervento sarà in grado di eliminare provvisoriamente il sintomo, eppure avrà persino peggiorato le condizioni alla radice causale del fenomeno.
L'assenza di una reale comprensione ecosistemica della vita priva l'uomo della capacità di capire le cause di ciò che chiama "malattia".

È così che, dopo avere selezionato numerose specie di banane di cui alcune già perse al limite dell'estinzione (come la Gros Michel negli anni 60), l'uomo rischia oggi di perdere anche la banana Cavendish, quella che troviamo in ogni supermercato, un frutto che per un secolo ha sfamato mezzo mondo e ora sarebbe diventato "estremamente vulnerabile alle malattie". Fonte: Focus
L'industria sa che qualsiasi monocoltura è una bomba a orologeria, ma il profitto di oggi è ragione sufficiente per evitare di pensare ai problemi di domani, che si spera finiscano sulla testa di qualcun altro.

UN CONCETTO DI BIODIVERSITÀ DA RISTRUTTURARE

Perché una monocoltura sarebbe destinata ad ammalarsi?
L'attuale teoria è che nella fattispecie, siccome la banana industriale è un clone genetico sempre uguale, un fungo che ne sappia colpire una le colpisce tutte... e alla fine noi restiamo senza banane. 
Di conseguenza nell'odierno paradigma si sostiene un concetto di "biodiversità" che è ridotto ad una diversificazione del rischio: è importante diversificare due, tre o più qualità genetiche di banane, di modo che se viene aggredita una ci restino le altre.

Così è successo con la Gros Michel, che si dice essere stata sterminata dalla "malattia di Panama Tropical Race 1" (TR1) attraverso l'essiccamento causato dal fungo Fusarium. E a quel tempo l'industria l'ha sostituita con la Cavendish.
Noi diremmo invece che la Gros Michel si è autoeliminata attraverso il fungo detto TR1, così come oggi la Cavendish si autoelimina con il TR4.
Il fungo infatti non è la causa, come ci insegna la 4° Legge Biologica, bensì è uno strumento emergente sensato, adattato e adottato dall'ecosistema che si evolve.

In questa ottica anche il concetto di biodiversità va pensato in un altro modo, ovvero non come una diversità genetica di specie fine a se stessa, bensì come una diversità sistemica e abbondante ad ogni livello, dai batteri nel suolo alla varietà di piante selvatiche e spontanee, fino agli insetti e alla fauna.

Le monocolture privano di biodiversità l'ambiente intero. 

La banana in natura non crescerebbe isolata in migliaia di ettari estirpati di ogni altra erba, albero, arbusto; non vivrebbe in un suolo estremamente impoverito, senza i batteri e i funghi necessari alla assimilazione dei nutrienti e soppiantati dai concimi; non soffocherebbe sotto i pesticidi che mirano a contenere i sintomi dei programmi biologici sensati delle piante (l’industria delle banane consuma più prodotti chimici di qualsiasi altra, seconda solo al cotone); non vivrebbe in un ambiente privo di insetti e fauna, espulsi da un sistema che non li accoglie.
È chiaro che un ecosistema sventrato in questo modo ha i giorni contati. 

Quindi il fungo che si presenta puntualmente a "sterminare le piantagioni", in verità è strumento di quell'orchestra che è la biosfera, necessario per eliminare qualcosa che le è inutile, forzato e la danneggia.

Ora, siccome oggi non c'è una banana che possa sostituire la Cavendish nell'industria, assistiamo ad una corsa contro il tempo per modificarne i geni, inventando una nuova banana resistente al TR4.

Hanno creato il primo frutto "geneticamente modificato"
La prima banana geneticamente modificata è pronta per essere lanciata sul mercato: il progetto permetterà di renderla resistente alle malattie.
...la banana in questione è capace di resistere persino ai funghi mortali, la principale minaccia per i coltivatori dell’intero pianeta.
Fonte: Libero

Aggiornamento marzo 2024: la nuova banana ottiene l'autorizzazione al consumo in Australia. Fonte: Il Fatto Quotidiano
Non è tanto una modifica genetica che finisce sulle nostre tavole a preoccuparci, non certo dal punto di vista della nostra salute, quanto la perversione di costringere le coltivazioni in condizioni contro la vita, con escamotage molecolari che "combattono le malattie fungine"...
Una concezione di salute sottosopra e superba, che crede di raggirare la Natura, la quale risponderà con i suoi tempi in modo sempre più deciso e irrevocabile.



È chiara la mentalità bellica, distruttiva e auto-distruttiva, che sta alla base di questo paradigma della salute? Non c'è alcuna comprensione né collaborazione con la Natura: si va alle armi.
Niente altro che un tentativo sconsiderato di proteggere il profitto finanziario, magari moltiplicandolo con i brevetti genetici, e rinviando il problema ecologico.
La reazione della biosfera? Muterà il fungo in TR5, e avanti così.

Il paradigma della salute va ribaltato, come nell'uomo così in agricoltura.
Coltivare isolando, impoverendo e distruggendo gli ecosistemi non funziona, è contro la vita.
La Natura è biodiversità e abbondanza che, tradotto nel suo linguaggio, è FORESTA
La vita desidera niente altro che riempire il mondo e, se tu umano che ne fai parte vuoi collaborare con lei per trarne il massimo giovamento, non puoi che assecondarla e aiutarla riproducendo sistemi agroforestali.

Qualche lettore attento ricorderà che circa 10 anni fa mi ponevo domande rimaste sospese intorno a questi temi, con la desolazione di chi si sentiva impotente di fronte al fenomeno Xylella in Puglia.
Dopo molto studio sui sistemi complessi e in permacultura, oggi sento che 5LB Magazine può offrire qualche spunto importante.

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