Lettura psicosomatica di una testimonianza di crisi respiratoria (Covid19)

Mauro Sartorio
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Faccio una rapida premessa teorica su alcune percezioni significative che mettono in stato di allerta le vie respiratorie.
Quando studiamo la teoria, impariamo che la maggioranza dei sintomi si rilevano a riposo, cioè nella fase PCL.
Questo è vero, ma ci sono molti tessuti che danno manifestazioni anche in Fase Attiva (per i profani, durante uno stress psichico).
Chiaramente, più la tensione è alta, più l'organo reagisce intensamente.

IMPORTANTI SINTOMI IN FASE ATTIVA

Nelle vie respiratorie voglio segnalare alcuni tessuti particolarmente notevoli durante le Fasi Attive:

- prima di tutto i muscoli della laringe, i quali si tendono provocando la sensazione di essere strozzati e la difficoltà a inspirare.
Quando accade che ci si chiude la gola? Non serve avere fatto chissà quali studi di psicosomatica: i muscoli della gola stringono quando ci spaventiamo. Quando il muscolo si rilassa, può provocare afonia.

- poi i muscoli dei bronchi, che anch'essi possono irrigidirsi e provocare una sensazione di difficoltà ad espirare.
Quando accade che i muscoli dei bronchi si tendano? Quando percepiamo che la nostra condizione è precaria (in gergo si dice "il territorio"), quando qualcosa mette a rischio tutto.
Questa improvvisa difficoltà ad inspirare o espirare sono esperienze ben note a chi ha vissuto crisi asmatiche o un certo tipo di crisi di panico.

- Quindi ricordiamo il tessuto dei bronchioli, che in fase di tensione produce un essudato che, se molto abbondante, rende difficoltosa la respirazione e può condurre alla cosiddetta polmonite.
Il bronchiolo reagisce al "soffocamento" al "sentirsi mancare l'aria", mentre i tessuti alveolari adiacenti reagiscono alla "paura di morire".

TESTIMONIANZA DI CRISI COVID19 (CORONAVIRUS)

Questi tre tipi di tessuto mi sembrano per ora i più importanti da ricordare, mentre ora leggeremo insieme questa testimonianza di una donna che ha ricevuto la diagnosi di Covid19.
Non sarà difficile immedesimarti nelle sue percezioni emotive, perchè sono molto ben raccontate.
Presta particolare attenzione alle percezioni che ti ho descritto: lo spavento, la precarietà, il senso di soffocamento e la paura di morire.

Sono una donna di 38 anni, vedova da quattro e con tre bimbi piccoli da crescere.

Si sente parlare di Coronavirus, il Covid-19 che ha colpito la Cina. «Troppo lontana da qui per contagiarci», mi ripeto cercando di mantenere un’apparente positività. Ma un po’ di pensieri e paura iniziano a farsi largo dentro di me.
I TG annunciano la notizia del primo contagio in Italia, a Codogno. Meno serena di prima continuo egoisticamente a ragionare sulla fortuna della distanza che separa Bergamo da Codogno.
Poi la notizia dei primi contagi di Alzano Lombardo in provincia di Bergamo, dietro casa mia.

Il 26 febbraio mi sveglio con la febbre, erano quattro anni che non mi ammalavo. Proprio ora! 


Possiamo rilevare che, con una certa probabilità, il raro aneddoto della febbre, ritenuto casuale o causato dal virus, sia una conseguenza dello stato di tensione che si perpetrava da settimane.
A sua volta la febbre si configura come una conferma traumatica che il rischio si sia materializzato: in parole povere, si tratta di una vera e propria DHS.


Chiamo il numero verde e vengo invitata ad allontanarmi subito dai miei figli. 
Sono afona, non sento i sapori e gli odori, mi bruciano gli occhi, ho mal di testa e mi sento assente. Ho la febbre da due settimane ma il medico dice che la saturazione dell’ossigeno nel sangue è buona e mi prescrive l’antibiotico.
È il 3 di marzo, non riesco a respirare correttamente, mi manca il fiato e chiamo il 112.


Sorvolando sui sintomi concomitanti, l'afonia e la mancanza di fiato sono i segni di un'altalena di recidive dei muscoli della laringe, e forse già di qualcos'altro.


Mi trasportano a Ponte San Pietro, il mio primo girone dell’inferno. 
Tutta la notte sdraiata sopra una barella, al freddo, parcheggiata in un corridoio in mezzo a gente ammalata come me. Risuonano solo i colpi di tosse e le lamentele per la paura. Nessuno che si è curato di me, mi ha chiesto se avessi sete o dovessi andare in bagno. 
Il personale non è preparato, non immaginavano un così grande afflusso di gente, non comprendono ancora cosa stia accadendo.

Vengo dimessa, debilitata da due settimane di febbre, una notte difficile e con i polsi doloranti per la flebo. Prognosi di cinque giorni, mi dicono bronchite in corso.
Dopo un paio di giorni la febbre sale a 39.7. 
Il medico dice di aspettare che l’antibiotico faccia effetto ma ad ogni attacco di tosse entra meno aria, mi sembra di soffocare
Un amico in visita, molto preoccupato, chiama il 112. 
Ho paura, non voglio tornare in ospedale ma non respiro, vomito, piango.

Entro al pronto soccorso dell’ospedale di Bergamo, qui sono un’eccellenza penso, mi guariranno. Provati i parametri mi portano via dal Triage in tempo zero. Flebo, ossigeno, prelievi, esame delle urine, emogas e Rx per concludere con il tampone. 
Sono il numero 425. 
Nel caos di medici e infermieri si avvicina il dottore che mi dice: «È Coronavirus».
Scoppio a piangere: «Ho tre figli piccoli che hanno perso il padre – gli dico -, salvatemi».


C'è poco da commentare. 
Immagina per assurdo che tutto questo fosse una candid camera, uno scherzo orrendo orchestrato nei confronti della donna: epidemia finta, ospedale finto, attori che interpretano i medici e i malati.
Pensi che il suo panico, l'angoscia e le reazioni dei suoi muscoli e tessuti respiratori sarebbero tanto diversi??


È l’8 marzo e vengo ricoverata in Pneumologia. 
Ho una mascherina di ossigeno ma l’apporto d’aria che mi dà non è abbastanza. 
Finisco nella Cpap, quel casco stile “Minions”. Mi dicono che ho gli alveoli pieni d’acqua e questa è l’unica soluzione che può salvarmi per ora. 
Mi stringe al collo, mi sento strozzata, l’ansia mi fa salire la sensazione d’esser sepolta viva. Assumo Lexotan per rilassarmi. Dentro il casco la sensazione è pazzesca. Un rumore continuo, una ventola nelle orecchie che introduce ossigeno da destra e scarica anidride carbonica a sinistra. 
Non capisco cosa mi dicono e non posso nemmeno leggere il labiale perché sono tutti con le mascherine. 
Tv, telefonate, tutto inutile. Sono sola con me stessa, le mie paure e i miei pensieri.

Sono giorni che non posso alzarmi dal letto, né per lavarmi né per scaricarmi. Mi lavano loro e mi scarico in una padella. 
Le siringhe per l’esame dell’Emogas arterioso sono rapide ma dolorose, l’eparina in pancia, i continui prelievi di sangue e l’ago delle flebo che continua a cadere. Sopporto tutto, devo uscirne il prima possibile.
Non conto più i giorni. Ricoverano papà e anche mamma. Il mio amico si prende in carico i miei figli. 
Nel frattempo arrivano continue notizie di decessi, parenti, amici, parenti degli amici e il pensiero si aggrappa all’ipotesi che il virus sia più clemente nei riguardi delle donne e dei giovani. 
Ho 38 anni, mi ripeto, sono giovane. Prego Dio, lo faccio intensamente, ho paura ma non posso mollare.

Il personale dell’ospedale è gente pazzesca, corrono avanti e indietro, fanno una fatica immensa e ci fanno sentire come una grande famiglia. Sono una donna positiva e loro mi danno un motivo per continuare ad esserlo.
Finalmente arriva il mio rianimatore. Lui è uno tosto, mi distrae, mi tranquillizza, mi fa sorridere.
«Facciamo un patto?» mi chiede.
«In questo momento lo farei anche con il diavolo», gli rispondo.
«Ti levo il casco, controlliamo i parametri, finisco il giro del corridoio e torno. Se va tutto bene lo togliamo definitivamente».
Procediamo lentamente, le cinghie per tenere il casco girano sotto le ascelle e lasciano la pelle segnata. Sento un dolore come se avessi dei tagli, dei lividi. 
Sono fuori, le lacrime scendono senza che possa controllarle. Forse l’incubo è finito.

Da qui in poi la donna si sentirà sempre meglio e uscirà dall'ospedale.
Se desideri sapere come è andata a finire, ti lascio il link alla testimonianza integrale. Fonte: PrimaBergamo

NON SOLO VIRUS

Lo scenario che abbiamo letto è popolarmente percepito e comunicato come "effetti del virus", punto e fine della discussione.
Siamo seri? C'è qualcuno che può ancora credere che questa cascata psicofisica inarrestabile sia irrilevante??
Eppure quando si parla di angoscia e di terrore, oggi se ne parla ancora come di un fenomeno marginale: c'è la malattia e poi c'è anche l'angoscia che cercheremo di governare in qualche modo, ora pensiamo alla malattia.
L'essere umano così concepito inizia e finisce dentro i suoi parametri biochimici, assimilato ad un apparecchio da accatastare per poi essere aggiustato.
Siamo in un medioevo tecnocratico, generato da quella educazione ultra-specialistica di fine 900, spesso criticata, che ha prodotto in serie i cervelli di una cultura a compartimenti stagni, incapace di comprendere i fenomeni in modo sistemico.
In una medicina costruita così, a "catena di montaggio", è evidente che non c'è né tempo né spazio per gestire gli aspetti interiori, troppo complessi e non protocollabili.
Ma non c'è nemmeno il sospetto che ciò sarebbe utile.

Se sei minimamente cosciente di questo fatto, ti renderai conto che angoscia, panico e terrore sia dei pazienti ma anche degli operatori sanitari, provocano gravi conseguenze alla salute e concorrono all'implosione degli ospedali in situazioni di emergenza.

Io vi posso dire anche che ho raccolto testimonianze di persone a me vicine, in cui qualcosa di simile all'aneddoto della donna è accaduto in presenza di tamponi negativi, tanto il panico è diffuso.
E ne abbiamo riportato una testimonianza pubblica anche in questo altro articolo.

QUANTO IMPATTA LA PERCEZIONE PSICHICA?

Abbiamo parlato dei sintomi respiratori, ma è evidente che il corpo può reagire con ogni possibile organo in relazione al vissuto personale.
Da segnalare, e in realtà andrebbe fatto prima di ogni altra cosa, l'importanza della reazione dei reni che, nella percezione di essere abbandonati a se stessi - come riporta anche la nostra testimone Sono sola con me stessa, le mie paure e i miei pensieri - agiscono una forte ritenzione idrica che può peggiorare tutti i sintomi respiratori, come una sovrapproduzione di essudato polmonare.

Quando verrà il tempo in cui gli operatori sanitari lavoreranno con queste conoscenze, sapranno gestire sia il proprio stress personale, sia quello dei pazienti, con una indubbia efficacia clinica.


Ora mi rivolgo soprattutto a chi ha già una certa esperienza con le 5 Leggi Biologiche, che abbia potuto sperimentare l'inequivocabile rapporto tra le percezioni psichiche e le reazioni degli organi del corpo.
Poichè è comprovato che il cosiddetto "stress" aumenti la produzione di citochine, in quale proporzione ritenete che la famosa "tempesta di citochine", che provocherebbe le crisi respiratorie, sia imputabile al virus piuttosto che alla percezione psichica?