Coronavirus: l'impatto della psicosi sociale sulla crisi degli ospedali.

Mauro Sartorio
17 minuti di lettura
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Tutta la confusione sociale che si è costruita intorno al Coronavirus (confusione è un eufemismo) non riguarda una particolare pericolosità del virus stesso, quanto il problema della gestione sanitaria dei casi critici che, per quanto relativamente pochi, in certe zone possono non essere gestibili per carenza di mezzi, personale e risorse di un sistema nazionale già da anni mantenuto ai minimi storici.
Qui la fonte di un quotidiano per tenere memoria di questo fatto, perchè in questo periodo l'attenzione pubblica è così tanto sequestrata dalle statistiche dei decessi, che ce ne dimentichiamo: "Più che di pandemia, è un problema di organizzazione sanitaria” SKY TG

Il problema dello smantellamento delle strutture italiane è annoso:

Fondazione Gimbe: «Saccheggiati 37 miliardi nella sanità pubblica»
sottratti al Ssn tra definanziamento e tagli nel periodo 2010-2019
Fonte: Il Sole 24 Ore

Sanità italiana a confronto con la Germania sul Coronavirus, dati shock
Rapportando al numero dei residenti, in Italia abbiamo un posto di terapia intensiva ogni circa 11.870 abitanti, in Germania ogni meno di 3.000.
[...] Ma non sono solo i posti di terapia intensiva a risultare insufficienti in Italia. Complessivamente, i posti letto sul territorio nazionale nel 2017 erano 151.646 presso le strutture pubbliche, circa il 30% in meno rispetto al 2000, pari a 3,2 ogni 1.000 abitanti. Sempre in Germania, il rapporto si mostra ben più elevato, cioè di 8 ogni 1.000. 
Questo significa che il governo tedesco può affrontare l’emergenza Coronavirus con maggiore serenità rispetto a noi, disponendo di un numero enormemente più alto di posti per ricoverare i pazienti nei casi più gravi.

“Io non ci sto!”. Rabbia e lucidità nella lettera di una infermiera
Io non ci sto ad essere trasformata in un angelo, quando fino a ieri e proprio grazie a quelle scelte [politiche], oggi ci troviamo nella cosi detta “merda” di fronte all’emergenza coronavirus.


A questo punto abbiamo l'idea che il problema sia prettamente matematico: un problema strutturale per una sanità con pochi posti letto e risorse, un improvviso aumento dei ricoveri e il disastro è servito. 

Il disastro lo dimostrano già i numeri (al 16 marzo), specialmente di morti e casi gravi, di un ordine di grandezza superiore a qualsiasi altra nazione al mondo:

Dati mondiali coronavirus

Impressionante. Faccio notare i 2158 morti su 28000 casi circa in Italia (7%), in confronto con gli 81 morti su 8320 casi in Corea (0,97%). Anche la Cina ha una proporzione molto più bassa.
In Germania (che però ha ancora numeri troppo piccoli per poter valutare) lo 0,2%.
Tutto in Italia è decuplicato, morti e casi gravi.
E il problema non è che facciamo pochi tamponi e quindi il denominatore dei contagi è piccolo, niente affatto, ne facciamo tantissimi.
Se poi stringiamo il fuoco dell'analisi sulle regioni, osserviamo una calca impressionante sulla Lombardia (dati al 15 marzo):
Dati Italia coronavirus

Il tasso grezzo di letalità ieri ha raggiunto il 7,7%, con ampie variabilità regionali: in particolare è del 9,8% in Emilia Romagna e 9,7% in Lombardia, rispetto al 4% nelle altre Regioni. «Questo dato – spiega Cartabellotta – rappresenta una spia rossa sul sovraccarico degli ospedali in particolare delle terapie intensive, allineando i numeri alla narrativa di chi lavora in prima linea».
Fonte: Il Sole 24 Ore, 17 marzo

C'è un problema chiaro ed evidente di gestione sanitaria.
Ma può essere che sia solo quello?
Cosa sta succedendo?

C'è una questione a monte, importante: tutti questi dati sulla letalità che ingolfano i giornali non sono comparabili, per diversi motivi.
Sia per il fatto che ogni nazione/regione fa i tamponi secondo criteri propri (chi li fa ai casi gravi, chi agli asintomatici, chi diagnostica Covid19 senza tamponi); sia per il fatto che anche i criteri del ricovero sono diversi; e, appunto, per le difformità dell'assistenza sanitaria.
Non è il virus a produrre questi dati, ma un insieme di variabili più o meno nascoste.
Non essendo standardizzati, queste statistiche stanno generando confusione.

L'ANGOLO CIECO SUL CORONAVIRUS

Ma non voglio parlare di dati, perchè le cose sono in evoluzione e saranno più chiare solo alla fine di tutto.
Voglio parlare di qualcosa di importante che manca nel disegno di questo scenario.
Manca di guardare a quel punto cieco dell'odierna medicina molecolarista, una medicina fatta di big data, oltre i quali ciò che non è misurato è considerato insignificante.
Invece c'è molto di più se si salta oltre i numeri.

Dentro un posto letto in terapia intensiva non c'è solo un letto, tantomeno un numero: c'è una persona.
E la terapia intensiva in cui viene messa una persona a causa del coronavirus, non è la stessa terapia intensiva di tutti gli altri giorni dell'anno, come nemmeno l'intero ospedale è lo stesso.

LE STRUTTURE
A causa di questa emergenza è stata fatta una riorganizzazione di tutto, convertiti reparti, chiuse sale operatorie, ridistribuite le risorse per sostenere l'impatto.
Anche l'ospedalizzazione di un paziente, in queste condizioni, è molto diversa e più farraginosa.
Infatti le persone con un qualsiasi sintomo respiratorio che si presentano all'ospedale non sono più i soliti casi di tosse, ma diventano casi "sospetti" da isolare e in certi casi sottoporre a test tampone.
Il test richiede alcune ore di tempo, nella migliore delle ipotesi, e anche questo rende più complicata la gestione di un isolamento più prolungato, in concomitanza con la carenza di posti letto.
Si può immaginare che non sia raro che si crei confusione organizzativa; che in certe strutture ci sia una più o meno efficace distribuzione delle risorse; che alcune di queste strutture soffrano un sotto-organico che gli è sempre stato cronico.

GLI OPERATORI
Ospedali tuta protettiva virusLe procedure e gli ospedali non sono gli stessi di solo qualche settimana fa, ma nemmeno operatori e pazienti sono gli stessi.
La stanchezza degli operatori per i turni sfiancanti è sproporzionata rispetto a qualsiasi altro periodo, è inevitabile.
Una lunga serie di procedure igieniche precauzionali, come una complessa vestizione con tute e maschere che richiede diversi minuti, ogni giorno.
Anche la paura diventa inevitabile negli operatori, la paura di essere in un territorio infetto, pericoloso... per alcuni meno ma per altri pericolosissimo.
Assistere ai numerosi decessi, nell'impotenza, è tremendo.

I PAZIENTI
La paura dei pazienti che giungono con dei sintomi non è la solita paura: spesso è terrore. Certe persone chiedono e si chiedono se moriranno.
Oggi una febbre o un mal di gola non sono più un malessere passeggero, sono percepite come una minaccia alla vita.
Molti, in periodi normali, non sarebbero mai corsi all'ospedale, né sarebbero stati ospedalizzati.
Nonostante molti medici e infermieri abbiano uno straordinario talento nel rassicurare e nell'accudire, l'ospedale in questa atmosfera si trasforma per forza di cose da luogo di accoglienza e di cura, in un luogo di pericolo e angoscia.
Pazienti infetti e operatori dentro "scafandri" si riversano paura a vicenda in un circolo vizioso, perchè se là fuori la situazione è già critica, qui dentro lo è di più.

Per avere un'idea più dettagliata delle procedure che sono adottate, puoi consultare a titolo di esempio il documento della USL Toscana.

Non tutte le strutture possono essere descritte in questo modo.
Alcune fuori dall'occhio del ciclone sono addirittura meno frequentate del solito, poiché i comuni codici verdi evitano di recarsi in pronto soccorso a causa del pericolo di contagio.
Fonte: AdnKronos e contatti personali sanitari.
Ma le strutture definite "al collasso" possono essere descritte così, soprattutto quelle che l'organizzazione sanitaria nazionale ha eletto come centri specializzati nella gestione del coronavirus, affollandone i reparti di terapia intensiva.


Io credo che non si possa parlare di collasso degli ospedali se si osservano solo i dati della protezione civile: dobbiamo osservare in modo sistemico anche ciò che le persone vivono e come lo percepiscono.
Ci siamo abituati a parlare esclusivamente per dati e numeri, per grafici di posti letto, contagiati e morti, e abbiamo perso del tutto il contatto con la realtà.
La realtà è sempre sistemica, e include numerose variabili non misurabili, intangibili, ma estremamente importanti e presenti
Che qui vorremmo fare emergere.

Invece gli organi di informazione parlano di virus come se fosse l'unico agente in quello che sta accadendo.
Le correlazioni tra numeri diventano, senza alcun motivo epidemiologico, fattori di causa, come per esempio "se ci sono più morti significa che c'è più virus"... ma chi lo ha detto? 
E l'esaltazione mediatica dei numeri diventa il driver delle scelte politiche.

Qualcuno inizia ad avanzare la tesi delle criticità del sistema sanitario.
Ma qui ora vogliamo portare anche l'intangibile.

LA PERCEZIONE DEL PAZIENTE

Usciamo quindi dal dominio dei numeri e immergiamoci invece nel campo degli aspetti emotivi di questa realtà.
Come potrà mai vivere il paziente questa situazione?
Sarà del tutto indifferente il suo stato interiore in relazione alla sua salute?
No dai, questo non è immaginabile nemmeno per il più rigido materialista.

Paziente terrorizzato
Quella che segue è una delle tante testimonianze dirette di un paziente, divenute virali sui social network in questi giorni:
Spero di esserne fuori, 14 giorni di febbre, tosse, polmonite interstiziale bilaterale grave, quella che porta questo male di merda. 
4 tamponi negativi, incomprensibili per i medici che mi hanno sempre detto : “non è possibile, ma non sappiamo nulla ancora, devi reagire tu perché non c’è cura”. 
Ed io non respiravo ed avevo paura. Ho dormito nella aree rianimatorie del PS per tre notti, ho visto gente crepare, stare malissimo, piangere in continuazione perché non poteva vedere i propri cari. Non pensavo così tanti, una tragedia, non so se la tv raccontasse il vero. Erano tantissimi i positivi, con polmonite. 
Ho conosciuto i veri leoni della società, medici e paramedici che soccorrevano tutti disperatamente vestiti da marziani. [...]
Fonte: Facebook

Questo è quello che una persona vive in un ospedale oggi.
Dal punto di vista delle 5 Leggi Biologiche si tratta di una morsa feroce, che imprigiona la psiche.
La paura della morte, il senso di isolamento, l'aver perso i riferimenti, sentirsi fuori dal proprio habitat e dover combattere per l'esistenza.
L'organismo non può evitare di reagire con una cascata di sintomi, forse con i polmoni, forse con i reni e tutto il resto.
Abbiamo già parlato di come la paura della morte possa condurre ad una crisi respiratoria, e infatti la testimonianza riporta una polmonite interstiziale nonostante non sia stato trovato alcun virus a provocarla.
Secondo i dati cinesi, gli organi più in sofferenza tra i ricoveri sono: polmoni, milza e linfonodi, cuore, fegato e reni.
Fonte e dettagli sintomatici

LA PERCEZIONE DELLA COMUNITÀ ALL'ESTERNO

Il dramma che accade là fuori nella società in quarantena non è al momento documentato, allora vi dico cosa vedo io, e penso che molti lettori si possano riconoscere in queste esperienze.

Ho visto lavoratori, liberi professionisti, gestori di locali, disperati, che hanno perso l'orizzonte del proprio futuro, non vedono una via di uscita, non sanno dove prendere i soldi per pagare le spese fisse. 
Ho visto la paura di mandare in fumo anni, a volte una vita, di lavoro.
L'agitazione per non sapere come gestire i propri dipendenti: come li pago? Li mando in ferie?
L'impossibilità di comunicare questa sofferenza nella confusione, quasi non ce ne fosse il diritto, perchè di fronte al "mostro" tutto è relativo.

Ho visto ingenti perdite finanziarie, anche del 50% sui mercati in una sola settimana, un crollo piombato in un periodo di grande tranquillità economica. Infatti fino allo scorso febbraio tutti gli operatori spingevano sugli investimenti, specialmente azionari...anche le banche, tramite balzelli di costo, e il governo, hanno incentivato i correntisti a non tenere il denaro disinvestito... poi tutto d'improvviso è crollato... e siamo solo all'inizio. 
Molte persone si ritrovano ad avere persi i risparmi di una vita, la solita trappola in cui i piccoli risparmiatori sono le principali vittime. 

Ho visto anziani a cui è stata stravolta una vita già precaria. 
Anziano isolatoLi ho visti che passeggiavano, guardati in cagnesco dai passanti. Li ho visti redarguiti perché non dovevano uscire!
Ho saputo di anziani con la tosse respinti dal proprio medico, terrorizzato, respinti dalla figura che è solita prendersi cura di loro, che molti eleggono come riferimento assoluto della propria sopravvivenza. 
Ho visto comuni che vietano agli anziani di uscire di casa, anche solo per la spesa.
Ho visto anziani debilitati da malattie, terrorizzati che qualcuno gli si avvicini, anche solo per sbaglio.
Anziani con il mal di gambe che si sentono impediti a passeggiare, che era l'unico modo che avevano per prendersi cura di sè.

Ho visto anziani isolati in casa, senza i social network, che almeno offrono alle altre generazioni una finestra di comunicazione con il mondo.
Solo la TV, una macchina ipnotica che riversa il suo bollettino di guerra quotidiano: contagiati e deceduti.

Ho visto persone con il cancro che improvvisamente si sono sentite scippate di tutte le cure, analisi rinviate a data ignota, cancellate operazioni chirurgiche che aspettavano da mesi.

Persone che sono terrorizzate dai contatti umani.
Mascherine
Mascherine
Soprattutto coloro che sono obbligati a lavorare in pubblico, per esempio nei supermercati.

Per non parlare del terrore di chi è stato sottoposto al tampone, sia per un sintomo, sia da asintomatico che è stato a contatto con un positivo.
Sentirsi dire che il proprio parente è positivo è una DHS, e l'attesa dell'esito è una Fase Attiva a tutti gli effetti: pensieri fissi giorno e notte.
Ho visto persone stare male per questo shock da diagnosi.

Persone poi che hanno i propri cari ricoverati, alcuni al limite della vita.
Una massa in solitudine, relazioni che si sgretolano, depressione, angoscia, impotenza... ed è passato poco più di una settimana dall'inizio della quarantena nazionale.
Un cataclisma.

Tutto questo non è influenza. NON È INFLUENZA.
Il Coronavirus non è mai stato pericoloso (se ancora una vocina ti dice il contrario, rinfrescati la memoria tornando all'inizio di questo articolo): il pericolo è sempre stata esclusivamente la gestione ospedaliera, come ci hanno spiegato con migliaia di grafici su tutti i media possibili.

Tutto questo va chiamato con il suo nome: PSICOSI.
Una psicosi costruita da un'informazione irresponsabile di cui ormai si è perso il controllo. 

L'ELEFANTE IN CUCINA: LA PSICOSI


Spray urticanti spruzzati per farsi largo tra la gente, incendi causati da fuochi d’artificio, uscite d’emergenza bloccate: sono solo alcune delle cause scatenanti di incidenti avvenuti quando la folla si è radunata a concerti, festival, cerimonie religiose ed eventi sportivi. 
L’ultimo caso in ordine di tempo è quello accaduto prima del concerto del trapper Sfera Ebbasta, l’8 dicembre 2018
Un improvviso odore acre, probabilmente diffuso da uno spray urticante, ha dato il via a una fuga generale in cui diverse persone sono state travolte. 
Il bilancio è di sei morti e decine di feriti. 
Prima di questo caso, però, circostanze simili si sono verificate in diverse parti del mondo.
La sera del 3 giugno 2017, a Torino, in occasione della finale di Champions League tra Juventus e Real Madrid [..] La sostanza nell’aria provoca il panico e la folla inizia a fuggire: nella calca che segue 1527 persone rimangono ferite e una donna morirà dopo dodici giorni in ospedale.
Fonte: SKY TG

Ti ricorda qualcosa?
Una massa di persone, un'ondata di panico si propaga, disordine improvviso, tutti si spingono in una calca che diventa una tragedia... ma la causa non è il peperoncino. Il peperoncino è solo l'attivatore.

Un virus come un attivatore di panico.
La gente in fuga sui treni. Lo ricordi? È successo solo 10 giorni fa, sta accadendo in queste ore a Parigi.
L'accalcarsi negli ospedali non può essere osservato senza questo elemento.
I dati della Lombardia devono essere letti anche così, dati sproporzionati mai visti al mondo, con un tasso di contagi e morti alle stelle.
E non credere che la psicosi sia solo una chiacchiera astratta: il panico è concreto, lo hai visto, uccide.
Il panico non fa respirare. Chi soffre di crisi di panico lo sa bene.
Il cataclisma sociale che abbiamo descritto, proiettato su milioni di persone, produce malati reali.
Possiamo dire davvero che la quarantena nazionale sia solo un momentaneo cambio di abitudini?

Per come la vedo io, questo è il fenomeno.

[Aggiornamento 22 marzo: e così la vede anche Peter Gøtzsche, un'autorità nel mondo della Evidence Based Medicine: gli ospedali sovraffollati avranno tassi di mortalità più elevati. Il panico fa proprio questo: porta a ospedali sovraffollati. Fonte: Corona: an epidemic of mass panic ]


In questo periodo molti si chiedono di quella strana discrepanza tra i dati coreani e quelli italiani.
Te la rimostro.
Casi Corea
16 marzo 2020

Perchè questa differenza clamorosa di morti?
Lo abbiamo già detto, i dati sono difficilmente confrontabili. Qualcuno dice "perchè i coreani tracciavano i contagi con la tecnologia".
Ma ti faccio notare un'altra cosa: mi sono imbattuto in questa intervista ad una pallavolista italiana che in questo periodo sta giocando nel campionato coreano.
- Il campionato attualmente è fermo per il Coronavirus. Come si vive questa situazione in Corea del Sud, uno degli stati più colpiti?
Valentina Diouf: “Per precauzione il campionato è stato sospeso e finora a noi è saltata solo la partita di martedì. 
Ci sono più controlli del solito, ma la vita va avanti normalmente e tranquillamente senza panico o allarmismi
In Italia, invece, vedo che le reazioni sono diverse e meno pacate e controllate che qui in Corea; ho visto che i supermercati sono stati presi d’assalto, che Milano è più vuota e che ne sta risentendo anche l’economia. Spero che tutto torni alla normalità e che anche le persone gestiscano meglio il tutto”.

Si capisce la differenza?
I coreani sono una folla al concerto, ordinata. 
Non direi che siano felici, ma nessuno ha spruzzato il peperoncino urticante dell'irresponsabile comunicazione che è stata fatta in Italia, e non solo dai giornalisti.

Elefante in cucina
Non vedi ancora l'elefante in cucina?
Guardiamo il Regno Unito.
Aveva progettato una politica di intervento sanitario nei minimi particolari. Diversa dagli altri governi, ma fondata su esplicite basi scientifiche. 
Coronavirus, Londra: ecco perché il contagio per ora è utile e non servono (ancora) misure all'italiana
Coronavirus, Londra: ecco perché il contagio per ora è utile e non servono (ancora) misure all'italiana

Fonte: EuropaToday

Londra preferiva affrontare il virus lasciandolo diffondere, senza panico.
Quando ha annunciato alla popolazione le sue intenzioni, è stato come lo spray al peperoncino: supermercati assaltati, paura per l' "imprudenza del governo", denigrazione mediatica internazionale.

Fuga generale. E la popolazione è insorta.
Ma non è certo insorta per difendere l'affollamento degli ospedali...è insorta per il terrore!
Ammettiamo che il Regno Unito avesse una sovrabbondanza di posti letto, quindi non avesse avuto alcun problema di ospedalizzazione: la popolazione sarebbe insorta comunque per il panico, razziando i supermercati!

Allora non siamo in guerra contro un virus, siamo in guerra contro la psicosi, ovvero contro noi stessi.
E come la Svizzera, così anche il Regno Unito e forse la Svezia saranno costretti ad alzare i muri di un regime, proprio come in Italia, perchè gli sarà chiesto a gran voce dal popolo.
Se la folla di un evento va nel panico calpestandosi gli uni con gli altri, il poliziotto non può di certo chiedere cortesemente di stare calmi: è necessario l'esercito in tenuta antisommossa per controllare i disordini.
Nessun governo potrà fare altrimenti, per controllare una psicosi già fuori controllo.

Le persone non potranno vivere libere se si sentono minacciate costantemente da un mostro invisibile che si nasconde dentro il prossimo: chiederanno invece di essere chiuse in una gabbia, che il mostro resti là fuori, con tutta la protezione possibile della legge.

Squalo quarantena
Foto CC-BY di Travel Local

IL TORPORE DELL'ABITUDINE ALLO SCIENTISMO

Se qualcuno non vede l'elefante in cucina, non è perchè non conosce le 5 Leggi Biologiche, ma perchè è necessario uscire da un torpore generazionale della coscienza.

Anche gli organi di informazione parlano spesso di psicosi, ma poi nessuno sa concretamente di cosa si tratti, che ruolo abbia e come influisca sulle cose. 
E il motivo è sempre quello: non è misurabile, non ci sono dati sui moti interiori degli individui.
L'odierna cultura scientista ci ha bendati.
Non sappiamo più guardare la realtà se non attraverso il filtro di dati e macchinari che pretendono di semplificare una realtà complessa, distorcendola con le conseguenze che stiamo vivendo.
Abbiamo la sensazione di averne il controllo, di questa realtà tradotta in dati, e invece proprio la presunzione del controllo ci preclude la comprensione dei fenomeni.
È un angolo cieco, perchè i dati escludono quella gigantesca porzione di realtà non misurabile.
C'è ancora qualcuno che in tutto questo vuole andare a vedere il virus?

Il gigantesco elefante che ci ingombra la visuale, la psicosi, sta opprimendo il Campo Sociale, con una propagazione "a onda" attraverso quel tessuto connettivo che ci unisce come comunità, proprio come accade con le onde delle folle ai concerti. Il fenomeno è studiato nell'ambito dell'effetto nocebo.
Una oppressione che si riverbera nel caos degli ospedali.
Una oppressione che si retroalimenta con la quarantena di intere nazioni, con la sospensione dello stato di diritto, con la limitazione delle più basilari libertà.
Tutto ciò, a sua volta, si riversa in esiti sanitari che alimentano il circolo vizioso.

Su questo, dati ne abbiamo?