Tra le principali cause di morte: l'ipnosi delle credenze.

Mauro Sartorio
Vi ricordate, l'anno scorso, la notizia della ragazza americana che, in seguito a una diagnosi di tumore al cervello, dichiarò "Sono malata, sabato mi uccido" ?
E si uccise.

Questa settimana troviamo sui giornali un racconto simile, verificatosi qui in Italia.
Un uomo, a cui era stato diagnosticato un tumore al fegato negli anni passati, si è impiccato per la disperata certezza di dover morire (cosa ne sappiamo poi? Diamo per scontato che sia come ci racconta la notizia).

Convinto di dover morire di cancro, si è ucciso. Ma era guarito. La tragedia in provincia di Lodi
La notizia sull'Huffington Post

Con la differenza, rispetto alla ragazza americana, che a quest'uomo era stato ufficialmente detto, ripetuto e garantito che ormai era fuori pericolo.
Il terrore ipnotico del "brutto male", del mostro che ti divora da dentro, a quanto sembra è stato insostenibile.

Una diagnosi che si regge su certe credenze, può avere effetti molto diversi in base alla percezione di ogni singola persona.
In generale, nel nostro mondo la parola CANCRO ha una carica ipnotica alla quale nessuno è indifferente, e produce nell'individuo reazioni molto diverse, con un effetto nocebo assicurato.
La vita in seguito a una diagnosi infausta viene essenzialmente stravolta, e anche questo sappiamo che non è affatto indifferente per l'organismo: è la fonte di una cascata di eventi, che per alcuni può essere un punto di svolta, per molti altri un torrente convulso che trascina via.
In queste condizioni, percepite dall'organismo con estremo pericolo, sappiamo che il corpo può reagire con manifestazioni che a volte chiamiamo "metastasi", o anche con azioni estreme come il suicidio.

Sono certo che molti avranno sentito parlare di persone a cui, per errore, è stato diagnosticato qualcosa che non avevano (magari per scambio di cartella clinica) e ne sono morti; e di altre che, al contrario, non hanno capito cosa gli è stato diagnosticato, hanno frainteso di non avere nulla e sono sopravvissute alla più funesta delle diagnosi.

Anche se qui non riportiamo fonti particolari per questi aneddoti, succede.
Ogni persona ha un vissuto unico e particolarissimo, che non può rientrare in nessuna statistica.
Purtroppo la scienza non può nemmeno studiare l'effetto nocebo come studia il placebo, per chiare ragioni etiche.
Si studia infatti la sovradiagnosi e, oltre alla sovra-medicalizzazione, si considerano anche le "conseguenze psicologiche"; tuttavia non se ne conosce il peso reale e cosa producono.
Eppure sperimentiamo quotidianamente quanto siano di primaria importanza.

Quando si dice a un cavallo "hai il cancro", cosa risponde il cavallo?
La distanza tra la sua reazione e la mia è la misura dell'effetto nocebo.
L'effetto nocebo esiste, perchè esiste la credenza che i processi corporei siano mali, maligni, distruttori fuori controllo, una percezione delle cose radicata nei millenni come lo erano le punizioni divine qualche secolo fa. Si tratta proprio di quella stessa percezione.

Inoltre l' "etichetta diagnostica" fissa questa percezione con un nome di malattia, statico e immutabile, su di un processo che, essendo biologico, è tutt'altro che immobile ma per natura dinamico: aumenta, diminuisce, si trasforma...noi qui lo chiamiamo "curva bifasica".
"Sono anemico", "sono celiaco", "sono terminale", "sono artritico", in sostanza "sono malato": definizioni che hanno un potere ipnotico fissativo così greve, tanto che l'uomo che si è tolto la vita era nell'impossibilità di concedere una qualsiasi speranza all'idea che, forse, il suo fegato poteva essere un fegato ben diverso da quello di qualche anno prima.
"Sono malato" è un'identificazione con qualcosa di statico che non esiste.
E la percezione può trovarsi chiusa in un angolo buio senza respiro.

Questo sistema di credenze, come tutti i sistemi di credenze, agisce concretamente sulle persone e produce fisiologia.
Ora, il problema non è la diagnosi di per sè: si cade facilmente nella tentazione di fuggire ad essa, con pericolosa incoscienza, e a qualsiasi controllo medico per "evitare la DHS": il problema risiede invece nel sistema di credenze in cui siamo immersi, che genera le condizioni in cui il valore biologico della diagnosi diventa pari a una belva feroce che aggredisce.
Non abbiamo paura delle cose, ma di ciò che percepiamo delle cose in base alle nostre credenze.
Ci sembra un fatto tanto plausibile e ovvio, chiunque può accettarlo più o meno nettamente, eppure la resistenza della nostra cultura a integrare le leggi che spiegano tale meccanismo è mostruosa.
Un'integrazione che sarà lenta ma che, in futuro, avrà effetti molto positivi sulla ristrutturazione della percezione "nociva" della malattia.

Insisto spesso sul concetto di percezione perchè per noi, creature concepite sulla sensorialità, ciò che percepiamo è tutto.
Proprio per l'importanza spesso sottovalutata di questo tema, mi sono preso la briga di scrivere il testo Fenomenologia della percezione  (di più ampio respiro rispetto ai limiti di un sito internet) che illustra i meccanismi della percezione umana con i quali ci costruiamo le personali "gabbie percettive".

In questo contesto la paura nei confronti della salute è un argomento fondamentale: consiglio caldamente di approfondirlo subito, guardando questo video - il castello della paura costruito sulle credenze nel campo della salute.